SECONDO CAPITOLO DELLE ORIGINI DI ACE FREHLEY

Continuano i (bei) ricordi della Spaceman

ACE FREHLEY – ORIGINS VOL. 2 – eOne Music – 2020

Produzione Ace Frehley & Alex Salzman

Formazione: Ace Frehley – voce e chitarra; Jeremy Asbrock – chitarra; Alex Salzman – basso; Matt Starr – batteria

Titoli: 1) Good times, bad times; 2) Never in my life; 3) Space truckin’; 4) I’m down; 5) Jumpin’ jack flash; 6) Politician; 7) Lola; 8) 30 days in the hole; 9) Manic depression; 10) Kicks; 11) We gotta get out of this place; 12) She (bonus track)

 

Quattro anni dopo il primo episodio, datato 2016, Ace Frehley, grazie al placet dell’etichetta che ci ha nuovamente creduto, sforna altri 12 pezzi storici del rock che appartengono alla sua formazione, quando nei primi anni ’70 cercava modo e maniera di fare del rock la sua vita, trovandolo poi nei Kiss, che restano il nome più indissolubilmente a lui legato nell’economia della sua carriera, nonostante la bontà di vari progetti solisti.

Si può cominciare col dire che tutti i brani sono fedelmente rispettosi delle versioni originali e ben interpretati, sia al microfono che alle chitarre, con l’unica divagazione di Space truckin’, pietra miliare dei Deep Purple, in cui il nostro personalizza le liriche a modo suo, inserendo qua e là qualche “Space Ace truckin'” e realizzando un divertente videocartone che narra la peripezie spaziali della sua band, con qualche riferimento ai suoi trascorsi, nei Kiss e fuori dai Kiss.

In apertura di nuovo i Led Zeppelin, come nella raccolta precedente, stavolta con Good times, bad times, giusto un pochino più aggressiva dell’originale e impreziosita da uno spaziale guitar-solo conclusivo.

I tempi paranoici di Never in my life dei Mountain e una forsennata I’m down dei Beatles, in cui Frehley duetta con John 5 e conclude con lancinante assolo, scrostano tutti i dubbi: Ace Frehley si sta divertendo e sta dando robustezza anche a classici che nelle versioni autentiche passano per essere meno duri, e soprattutto non scade nel banale, pescando dei gruppi più gloriosi della storia del rock non sempre i pezzi più conosciuti a livello mondiale, ma anche “seconde scelte” che però hanno avuto una grande importanza per lui. Oltre che per I’m down Space truckin’, è anche il caso di Politician dei Cream (anche questa con John 5 alle chitarre) o Manic depression di Jimi Hendrix, in cui duetta col compagno di band “virtuale” dei Kiss, Bruce Kulick, con eccelsi risultati.

Altre perle: Jumpin’ jack flash dei Rolling Stones, cantata in coppia con Lita Ford, Kicks di Paul Revere & the Raiders, brano ampiamente valorizzato anche da altri artisti, primi tra tutti i Flamin’ Groovies.

Degna conclusione con l’omaggio ai Kiss, precisamente She, brano che appartiene al periodo più selvaggio dei quattro mascherati, riprodotto fedelmente ma appesantito, e lasciando intatto il solo di Ace, mutuato da quello contenuto in Five to one dei Doors.

Un paio di cose potevano andare diversamente, pur restando una selezione di brani che mai nella vita potrebbe annoiare: un pò più di alternanza al microfono, dal momento che Frehley non è una forza della natura a livello vocale ma, a parte la coabitazione con Lita Ford in Jumpin’ jack flash, cede il cantato, sempre in coesistenza, solo in un altro pezzo, 30 days in the hole degli Humble Pie, precisamente a Robin Zander. E poi il sound della batteria, che personalmente ho trovato un pò troppo asciutto, nonostante le indiscutibili capacità di Matt Starr.

Ma detto questo, massimo rispetto per Ace Frehley, un uomo del rock che a quasi 70 anni non può ancora fare a meno di divertirsi suonando.

Alessandro Tozzi

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