TERRA DI SANTI PARTE 1

Inizia il nostro racconto a puntate

L’auto procedeva spedita in mezzo alle curve di una stradina di montagna. Non era una montagna alta, si trattava più del genere di collina che ospita santuari e sentieri utili alla commemorazione di qualche santo. Il sole era tramontato e all’interno dell’abitacolo si rideva sulle note di una vecchia canzone. Mancava poco all’arrivo e l’auto rompeva il silenzio facendo credere che a Vitulano qualcosa stesse aspettando i tre giovani in viaggio. Guidare per quelle strade in notturna era un po’ come sfondare la barriera del suono, e anche quella del buio. La natura circostante sembrava denunciare il passaggio del veicolo come fosse un corpo estraneo infilato in qualcosa che respira. Da queste parti la natura è viva, non è un semplice paesaggio addomesticato. Qui l’uomo è sempre in svantaggio per qualche motivo, si potrebbe quasi dire che sia stata la natura ad addomesticare l’uomo, costringendolo ad interpellare alberi, rocce, torrenti per poter essere in grado di compiere qualsiasi cosa.

Nel frattempo, una farfalla era riuscita a fare irruzione nell’auto. Se ne stava attaccata al parabrezza aspettando l’arrivo a destinazione. Era a suo agio sul vetro e sembrava conoscesse il posto o comunque lo stesse studiando in qualche sua forma. Non aveva l’atteggiamento delle falene notturne, loro per istinto svolazzano da una parte all’altra in cerca di un’uscita o di una fonte di calore. Lei se ne stava ferma a osservare la strada, e con cadenza irregolare camminava sul vetro.

Arrivati a destinazione i tre si diressero verso la casa dagli esterni in pietra lasciando la farfalla ferma sul parabrezza pensando che il giorno dopo l’avrebbero trovata esanime sul cruscotto. Il soggiorno a Vitulano stava avendo inizio, seppur con qualche perplessità: i tre si conoscevano da poco e ognuno era esperto di una materia diversa. Un vecchio saggio diceva “bisogna diffidare sempre dalle comitive eterogenee, ciò che lì lega è quasi sempre qualcosa che ognuno di loro ha inventato per l’altro”.

Santo era il proprietario della casa vacanze presa in affitto dai tre. Li aveva accolti come si accoglie qualcuno che si aspetta da tanto tempo. Lui nella vita era stato un viaggiatore quindi sapeva bene come si accoglie qualcuno. Aveva un aspetto sornione, quello di chi vorrebbe redimere il mondo con gli sguardi. Santo aveva subito cominciato ad illustrare ai ragazzi ciò che la zona poteva offrire loro: il parco regionale del Taburno, il vino di Solopaca, il Matese, Benevento, la movida telesina e altri borghi e paesi della zona. Parlava con un accento marcato ma teneva il volume delle voce piuttosto basso, anche nelle espressioni risultava particolare: sembrava come se dovesse giustificarsi di qualcosa, come se in qualche misura già sapesse che le aspettative dei ragazzi verso il posto sarebbero state deluse. La sua voce già chiedeva scusa, parlava da uomo che soggiace alla natura, ai silenzi e mai voleva vedere qualcuno pagare il suo stesso mutuo.

Fatti i convenevoli i tre facevano ingresso ciascuno nella sua stanza. La stanza di Alice era molto piccola e arredata da un meraviglioso letto d’epoca che contrastava palesemente con l’estrazione umile dell’edificio. Forse non era un caso che lei l’avesse scelta, d’altronde Carla l’aveva capito: ad Alice piaceva occupare poco spazio, camminare da sola in punta di piedi, guardare senza dir nulla, con estrema attenzione, assumendosene tutte le conseguenze; tipica tempra di chi riesce a sognare in grande anche in uno spazio molto piccolo come lo era quella stanza. Alice parlava poco, e quando lo faceva spesso proiettava lo sguardo sugli edifici intorno e poi, brevemente, sugli occhi dei vicini. Ripeteva questa danza senza l’ombra di un lamento, il suo sguardo serbava sempre un silenzio: sapeva bene che parlare è una buona cosa, ma alla lunga non paga. Il suo modo di starsene dentro sé stessa era una particolare forma di voluttà, ma anche una vendetta verso il mondo. Chi sceglie di parlare è pronto a contrattare, ad accettare un compromesso, lei non contrattava, non raggiungeva nessun accordo, studiava.

Carla invece, esperta astrologa, aveva scelto la stanza nella mansarda. Diceva che da lì era possibile vedere Marte, anche se Antonio non se ne capacitava: come era possibile riuscire a vedere Marte? Peraltro gratis. La riflessione di Antonio sulla gratuità dell’osservazione marziana era la chiara espressione del suo essere venale. Egli si atteggiava a paladino del profitto non tanto per inclinazione naturale ma per tener fede a chissà quali logiche tese alla conservazione. Già, la conservazione, ma di cosa? Ecco, non tanto di quello che lui si era creato negli anni con il commercio di magliette, ma di tutto ciò che lui stesso si era convinto di dover rappresentare. Il fatto che Carla potesse contemplare Marte, l’oggetto del suo lavoro senza dover pagare un prezzo, disturbava Antonio. Non c’era nessun affitto, nessun lavoratore da pagare per poter indagare il cielo come lo faceva lei. Forse era proprio questo che toccava Antonio, la semplicità necessaria a fare della passione di Carla un lavoro. Semplice, come guardare il cielo.

Vitulano si prestava molto bene alle osservazioni notturne. Il paese sorgeva sotto il crinale del monte Taburno e per l’occhio era difficile distendersi se non verso il cielo. Forse anche per questo c’erano molte telecamere in paese, come se gli abitanti volessero riservarsi la possibilità di affondare i loro occhi dentro altri occhi, più esterni, alla ricerca di qualcosa che raramente accade. Ormai era notte inoltrata e svegli erano solo volpi, grilli e telecamere. Santo era sceso in strada per la sua passeggiata notturna, lo faceva sempre dal giorno in cui aveva compiuto quarantasette anni, da quel momento aveva sviluppato un rapporto intimo con le prime ore del mattino.

Alice credeva fortemente che i quarantenni avessero spesso qualcosa da nascondere. L’aveva detto il mattino seguente a colazione, dopo aver raccontato di aver casualmente notato Santo soffermarsi in notturna a spiarla attraverso la finestra dalla strada. Quell’episodio corroborava ancor di più le sue tesi sui quarantenni: “il periodo che va dai quaranta ai cinquanta anni è il periodo in cui generalmente l’esistenza umana diventa più pericolosa: si smette di sognare, si diventa insofferenti, a tratti aggressivi, supponenti e in genere cessa anche la voglia di imparare. Fateci caso, i quarantenni, seri o allegri che siano, sembrano quasi mai ispirati. Piuttosto risultano sempre eccessivi, sia che abbiano torto o ragione” aveva preso a dire. Dall’altra parte del tavolo Antonio annuiva soddisfatto delle tesi di Alice, anche perché lui dal basso dei suoi ventotto anni, ad arrivare a quaranta e oltre non ci pensava neanche: voleva piuttosto restare giovane e affermava che la gioventù finisce laddove finisce la possibilità di scelta “io lavorerò sodo per mantenere diverse possibilità di scelta, anzi, forse vorrei non scegliere mai e vivere di volontà in potenza” diceva.

Carla aveva volutamente ignorato l’affermazione egoriferita di Antonio, per lo più era sbalordita dal fatto che Alice avesse fatta la sua considerazione sui quarantenni: proprio lei che preferiva non esprimersi, rimanere in disparte, aveva sentito il bisogno di esprimere quel pensiero. Ancor di più le sembrava strano che Alice fosse sveglia a quell’ora di notte, dopo un lungo viaggio, tanto desta da notare Santo spiarla dalla strada. E poi, quell’invettiva sui quarantenni, lei che sembrava la farfalla notturna che camminava sul parabrezza, così assorta, cauta, esprimeva un giudizio netto su una fase della vita che lei stessa in quindici anni avrebbe vissuta. Carla rifletteva e teneva tutto questo per sé. Il modo in cui erano state espresse quelle opinioni, l’annuire di Antonio, erano il primo richiamo alla curiosità verso Santo. Pensava “perchè qualcuno che non dice mai una parola fuori posto su nessuno si sentiva libero di parlar con dubbio di Santo? Perché Antonio non aveva preso le difese del presunto quarantenne spione mostrando un po’ di solidarietà maschile? Tutti questi pensieri accendevano la curiosità di Carla verso il quarantenne proprietario di casa. Aveva iniziato a vederlo come una carica, non importava se positiva o negativa. Da quel momento Santo era nella lista degli astri da osservare, a lei erano bastate due lievi forze contrarie e tutto il vuoto intorno a Santo sapeva di atmosfera.

Continua…

Antonio Alberto Di Santo

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