The Young Pope, bilancio di fine stagione

La serie tv scritta e diretta da Paolo Sorrentino ottiene il successo dovuto. Amata più dal pubblico che dalla critica, The Young Pope è un ritratto del futuro. In attesa della seconda stagione

set of "The young Pope" by Paolo Sorrentino. 08/10/2015 sc.210 - ep. 2 in the picture Paolo Sorrentino. Photo by Gianni Fiorito

E così la nuova creatura di Paolo Sorrentino è finalmente arrivata. Presentata alla biennale di Venezia e poi anticipata da una pressante campagna pubblicitaria, la serie tv The Young Pope inizia la sua programmazione su Sky il 21 ottobre. Positiva l’accoglienza a Venezia e, occorre dirlo, anche sul piccolo schermo.

Mezzo milione gli spettatori medi che hanno visto la serie, quasi un milione e mezzo quelli che vi hanno acceduto tramite il servizio on demand (cioè la visione scaricabile, a prescindere dalla messa in onda). La critica ha avuto, invece, voci discordanti. Del resto, la complessità del personaggio, magnificamente interpretato da Jude Law, è un grumo di umane contraddizioni.

Partiamo dalla trama. La consacrazione a papa del giovane americano Lenny Belardo avviene in maniera inspiegabile. Lo stesso collegio cardinalizio, riunito in conclave, non sa dare una ragione plausibile. “Opera dello Spirito Santo”, come si dice in gergo, eppure nessun cardinale è disposto a crederci. Divisi tra la corrente dei progressisti e quella dei conservatori, certi del voto tutto politico espresso in conclave e rassicurati dall’operato del mellifluo Segretario di Stato Angelo Voiello (Silvio Orlando), neanche i cardinali pensano che quell’assurda votazione possa essere opera di Dio. “Hanno votato un Papa che non conoscono”, dirà il neo eletto Lenny Belardo. Ma si mostrerà subito per ciò che è.

Un primo indizio è la scelta del nome: Pio XIII. Il Papa americano vuole proseguire la tradizione di Pio XII, la cui figura è a dir poco controversa. Eletto in pieno fascismo e strenuo difensore della pace, Pio XII fu il Pontefice che diede asilo politico ad Alcide De Gasperi e Pietro Nenni, oltre a salvare la vita di molti ebrei romani. Eppure non disse mai, tantomeno in pubblico, una parola chiara contro l’olocausto. Una mancanza che gli costò l’appellativo di “Papa di Hitler”.
Santo o diavolo? La Storia non ha ancora deciso. Ma il pontefice immaginato da Sorrentino pare esserne la versione moderna. Reazionario, affascinante, fumatore incallito, tiranno e al contempo compassionevole, rivoluzionario ma ultra-conservatore, quasi ai limiti dell’oscurantismo. E soprattutto, incerto della sua stessa fede. Così si presenta nelle prime scene, disturbando un po’ chi, nell’Altissimo, ci crede davvero. Eppure fa riflettere, e bene, il modo in cui il regista approccia alla parte più spirituale e mistica della religione. Ci entra in punta di piedi e insinua curiosità anche al più ateo fra gli atei. Ma questo lo si capisce dopo.

Al primo colpo d’occhio sembrerebbe che Sorrentino stia virando sul film-denuncia delle malefatte vaticane, con i suoi misteri e le tante corruzioni, morali e non. La spiegazione è troppo semplice.

Nel discorso urbi et orbi che il Pontefice dà alla folla, illuminato da dietro e visibile solo come un’ombra a volto coperto, Sorrentino immagina un mondo. Un futuro con un nuovo leader mondiale, un grande fratello capovolto in cui il Padrone non spia le masse, ma le rigetta. Non si cura di quel che i fedeli fanno o dicono, ci penserà quando diverranno degni. Quesmaxresdefault_4to Papa-leader è un tantino superbo. Ma lo sforzo di previsione che Sorrentino fa è lodevole, considerato che viviamo in un’epoca in cui risulta piuttosto difficile immaginare un domani. Con Pio XIII sembra che il regista parli di Trump e della Brexit, variabili incalcolabili della storia che nessuno è stato in grado di prevedere e che non si sa dove ci porteranno, ma hanno di fondo un che di inquietante, che non torna.

Se si pensa che il soggetto di The Young Pope è stato ideato nel 2014, cioè prima dei suddetti avvenimenti politici, si può dire che Sorrentino ha buone capacità profetiche. Il punto d’inizio è il presente, e siamo al secondo merito. Paolo Sorrentino dimostra di essere un regista perfettamente calato nei suoi tempi. I riferimenti artistici e musicali presenti in The Young Pope (da Banksy ai Planet Funk, per non parlare della sigla iniziale, che è già cult) sono un chiaro riferimento al fermento culturale che attraversa la sua Napoli in questo momento. E per culturale s’intende politico, e filosofico. Sorrentino, insieme a Gabriele Mainetti di Lo chiamavano Jeeg Robot, è uno dei pochi registi che non viene a rimuginare sui nostri drammi ancestrali (mafia, anni di piombo, eccetera): finalmente si può parlare (anche) d’altro.

La passione del regista per la religione è ormai nota (“la suora nana che fuma” dell’esilarante imitazione di Crozza), ma qui calza al pennello. Questa chiave di lettura aiuta infatti a snocciolare tutti gli aspetti della nostra vita, compresa l’intimità. Un leader internazionale e spirituale è proprio quello che serve per disegnare il futuro.

Eppure il personaggio evolve e regala sorprese che arrivano, ahinoi, troppo presto.

Il peccato originale sta, si presume, nei costi. Su The Young Pope la produzione ci ha puntato molto. Tra Sky, Hbo e Canal+ si contano in 40milioni gli euro sborsati per realizzare ex novo le sale della Cappella Sistina e le stanze del Vaticano. Per non parlare dei costumi e del cast stellare. Oltre a Jude Law e Silvio Orlando, c’è il premio Oscar Diane Keaton nel ruolo di Suor Mary, la suora che accoglierà l’orfano Lenny Belardo da piccolo e che diventerà la sua consigliera fidata una volta divenuto Pio XIII. Dunque l’annuncio che ci sarà una seconda stagione arriva solo dopo che la prima ha ottenuto il dovuto successo. E questa precauzione si rivela una fregatura per lo sviluppo della trama.

1479465915_young-pope-5I personaggi della serie sono così raffinati e complessi che non bastano dieci puntate per approfondirne gli aspetti e poi farli evolvere. Poche spiegazioni sul passato del papa giovane, riassunte in una scontata e frettolosa sindrome dell’abbandono. Scarne anche quelle che motivano la sua successiva maturazione, quando vivrà “una seconda giovinezza”, come cita il personaggio. Non si fa in tempo ad affezionarsi a quel tiranno controverso che subito Pio XIII diventa (quasi) buono. Questa superficialità, unita a certe scene stucchevoli con i bambini che corrono felici sul prato (forse pensate più per il pubblico americano che per quello europeo), sono le uniche note stonate del racconto.

Staremo a vedere cosa Sorrentino ci racconterà nella seconda stagione. Quale futuro vorrà prevedere, quale sarà il leader che ci governerà domani. Tocca sperare che non assomigli per niente a quel monarca che è Pio XIII. O forse sì?

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