Rape Rosse Bucate

Ancora risate al Teatro San Genesio, per il nuovo spettacolo di Emilia Miscio!

Teatro San Genesio, Roma, 16 novembre 2018

RAPE ROSSE BUCATE
di: Emilia Miscio
Regia: Emilia Miscio

con: Simone Giulietti, Ambra Lucchetti, Laura Pacini, Daniela Anzellini, Claudio Carnevali, Alberto Mosca, Gabriele Vender, Licia Pacella, Marco Santolamazza, Lorenza Guerra, Emanuele Grassetti.

Scene: Giorgio Miscio

Direttore di scena: Simona Borrazzo

Fonica e disegno luci: Giorgia Caredda

Trucco: Federica Morittu, Sara Giulietti, Stefania Stania, Marjana Lulaj, Veronica Patrizio

Foto e video: Riccardo Dell’Era

Light Designer: Martin Emanuel Palma

Costumi: Cristina Ricci

Voci: Ugo Maria Morosi

TEATRO SAN GENESIO (via Podgora, 1 – P.zza Mazzini)
Dal 7 al 18 novembre 2018
Dal martedì al sabato ore 21.00; domenica ore 17.00

Intro: L’azione si svolge in un’ambientazione quasi onirica, fuori dal tempo e dallo spazio, in cui si troveranno a confronto dieci personaggi, a rappresentazione di due categorie ben distinte, gli Strani e i Normali.
Dal Colonnello all’arcigna Moglie Fantasma, dalla Vedova Allegra allo scapestrato Fra Giocondo, fino alla coppia di normalissimi sposi dalle idee stereotipate, tutti, estremamente caratterizzati nell’aspetto e nell’interpretazione, si troveranno a condividere una serata che farà emergere il netto confine che li divide.
Riusciranno due mondi così distanti a trovare un punto di incontro, a dialogare, o semplicemente a rispettarsi senza giudicarsi?
Ogni elemento della messa in scena, dai costumi al trucco, dalla scenografia all’arredamento, dove stili ed epoche diverse si mescolano tra loro, è costruito per focalizzare l’attenzione su un mondo che, in fondo, è surreale solo in apparenza, in un mix irresistibile di ritmo e comicità.

“Rape rosse per te, ho comprato stasera”: verrebbe voglia di canticchiare un motivetto del genere, improvvisando all’occorrenza, così da offrire il proprio contributo a quel nonsense generale, che è uno dei tratti più genuini riscontrabili negli spettacoli di Emilia Miscio. Ma non esageriamo. Non prendiamoci troppe confidenze. Anche perché vorremmo evitare qualche reazione spropositata, da parte della regista e del cast, ad esempio essere invitati ad ingerire sul serio qualche sorso del famigerato infuso di rape rosse bucate!

Insomma, si torna a parlare volentieri di un’autrice giovane che ormai è di casa, al Teatro San Genesio. Nel caso di Rape Rosse Bucate si tratta poi di un testo scritto direttamente da lei. Anche se, per chi ha assistito a qualche rappresentazione precedente, è difficile non far caso al ricorrere di quel gusto del paradosso e di quel timbro umoristico già presenti nelle opere di qualche autore anglosassone precedentemente riadattato e portato in scena, in primis il gettonatissimo Jack Sharkey. L’idea dell’isolato maniero infestato da grottesche figure che ricevono qualche visita inaspettata può ricordare ad esempio La creatura! (The creature creeps!), messo in scena più o meno un anno fa.
Qui però la Miscio ha inserito un touch, ben riconducibile a lei per chi ha visto il successivo Villaggio Jamaica!, che consiste nell’ambientazione coloratissima e stravagante, da cui la così peculiare impostazione scenografica, come anche nel piglio ancor più naif col quale i personaggi reagiscono alle surreali situazioni in cui sono calati.

Forte di un cast sempre più affiatato, Rape Rosse Bucate vede una strana famigliola dall’aspetto poco rassicurante vivere reclusa in una rocca con pochi contatti col mondo esterno, almeno finché i nuovi vicini, una coppia tanto “normale” da sconfinare nella banalità, non si decideranno a far loro visita. Il dialogo tra “diversi” e “normali”, oltre a produrre situazioni esilaranti, si rivelerà alquanto difficile. Ma alla fine, con tanto di criptica citazione del cinematografico The Others, tutti prenderanno coscienza del fatto che alzare barricate nel nome di una presunta “diversità” è operazione assai futile.
In questo spettacolo Emilia Miscio si è divertita a mettere insieme una galleria di personaggi a modo loro adorabili, dalla Vedova Allegra a un burbero Colonnello vecchio di secoli, dal proverbiale Malato Immaginario al grezzissimo maggiordomo Goblin. Anche se una punta di preferenza, non possiamo nasconderlo, va da parte nostra al più eccentrico di tutti, l’orchesco Fra Giocondo col suo pittoresco accento umbro. Il gioco consiste ancora una volta in un continuo ribaltamento di punti di vista assodati, che a livello verbale si traduce in quel rovesciamento delle polarità del discorso, di ciò che può essere accolto positivamente e di ciò che viene considerato negativo, tale da ricordarci un po’ i buffi, strampalati dialoghi della Famiglia Addams. Gli screzi tra i personaggi coinvolti sono a tratti molto divertenti, in qualche caso ripetitivi, ma il dinamismo in scena assicura sempre brio alla rappresentazione, peraltro arricchita da qualche estemporanea invenzione che strappa un sorriso al momento giusto: vedi ad esempio l’istantanea della mostruosa famigliola a tavola, concepita sulla falsariga di una grottesca Ultima cena. Un valido intrattenimento, a conti fatti, che a margine delle variopinte scenografie cela comunque una morale condivisibile.

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