ELVIS & NIXON, CRONACA DI UN CULT

Esce il film della stretta di mano più surreale della storia, quella tra Richard Nixon ed Elvis Presley. La regista Liza Johnson racconta la fotografia più ricercata d’America.

Cosa accadde realmente la mattina del 21 dicembre 1970, quando Elvis Presley incontrò il Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon? Quell’incontro fra due personalità (apparentemente) agli antipodi è uno degli episodi più assurdi della storia moderna, immortalato da una foto in bianco e nero in cui politica e spettacolo si stringono la mano per la prima volta. Lo scatto è diventato subito un cult, il più desiderato fra tutti i documenti conservati negli Archivi di Stato americani. Purtroppo non v’è traccia del dialogo intercorso tra Nixon e la superstar Elvis, se non gli appunti riportati dal consigliere del Presidente Egil “Bud” Krogh (poi pubblicati nel volume The Day Elvis Met Nixon) e nel libro di memorie Me and a Guy Named Elvis di Jerry Schilling, amico d’infanzia di Presley.

Questi due volumi saranno le uniche fonti utili su cui la regista Liza Johnson costruirà il film Elvis & Nixon, nelle sale cinematografiche dal 22 settembre, nato per raccontare la storia di quella foto. Oggi la Biblioteca presidenziale distribuisce copie a profusione di quell’istantanea con il formidabile titolo “The President and The King”, ma all’epoca dello scatto la mescolanza tra politica e spettacolo era considerata irrispettosa e l’ufficio di Presidenza negò l’esistenza della foto per un anno intero. All’interno della Biblioteca sono conservate anche la lettera che Presley scrisse al Presidente e la richiesta ufficiale di incontro che arrivò sulla scrivania del Capo di Gabinetto della Casa Bianca Bob Halderman. Una volta visionata la richiesta, Halderman prese una penna e in calce al documento scrisse: “State scherzando?”.

La lettera che Presley scrisse al Presidente sembrava una presa in giro. In un inglese un po’ sgrammaticato, Elvis sostanzialmente affermava: che i movimenti studenteschi di quegli anni stavano distruggendo il Paese; che aveva studiato le tecniche di lavaggio del cervello operato dai comunisti e gli effetti dell’abuso delle droghe sui giovani; che lui (Elvis) era nella posizione migliore per contrastare questi movimenti di protesta; e che sarebbe stato ancor più di aiuto se fosse diventato un agente dell’FBI, magari sotto copertura (tutto vero). Concludeva la lettera con: “Mi piacerebbe incontrarLa per salutarLa se non è troppo impegnato”.

Pare che Nixon acconsentì all’incontro su pressione del suo staff, convinto più che mai che una stretta di mano con Elvis sarebbe stata utile per accaparrarsi il voto dei giovani, tra cui Nixon era assai impopolare. Il continente che Nixon si trovava a governare era infatti quello di Woodstock e dei Black Panthers, dei cassonetti incendiati per strada, delle proteste giovanili che bramavano rivoluzione. L’America scelse Richard Nixon per mettere ordine in quel subbuglio. E quando i due s’incontrarono, erano entrambi al massimo del loro splendore. Le carriere di Elvis e Nixon stavano camminando nel punto più alto della parabola, là dove il passo successivo corrisponde al suo declino. A quattro anni dall’incontro, infatti, Nixon dovrà dimettersi a causa dello scandalo Watergate. E sette anni più tardi Elvis Presley morirà in ospedale a causa dell’abuso di antidepressivi.

È questo il contesto in cui Kevin Spacey, nei panni di Nixon, e Michael Shannon, nel ruolo di Elvis, si incontrano nello studio ovale. I diritti del film vengono acquistati dalla Sony Pictures Entertainment nel 2014, si inizia a girare a febbraio 2015 a New Orleans. L’idea alla base del film non era quella di riprodurre perfettamente i dettagli di quel 21 dicembre: “abbiamo voluto che il film fosse emozionalmente vero, più che fare una copia fedele dei fatti”, spiega la regista. Né si è voluto caricare di comicità l’azione, condendola con battute spiritose o sketch: “la comicità della scena è data dalla situazione in sé. È l’evento ad essere assurdo e comico, non i suoi personaggi”. Spacey e Shannon infatti si muovono con naturalezza in un lunghissimo piano sequenza che presenta pochi stacchi. E si trovano entrambi ad interpretare due ruoli difficili, per la notorietà dei personaggi e le leggende che li accompagnano, senza contare le mille interpretazioni di cui sono stati già oggetto. La chiave di lettura che gli attori scelgono è quella dell’umanità: non sono l’Elvis e il Nixon che tutti noi conosciamo, ma due esseri umani consapevoli del proprio potere che s’incontrano, s’annusano e alla fine si piacciono.

Per vestire i panni di Nixon, Kevin Spacey si adopera nelle ricerche: “Sono andato a cercarmi tutto il materiale che riguardasse il Nixon privato, perché quell’incontro fu a conti fatti un incontro privato che poi divenne pubblico. E ho scoperto che imprecava più di qualsiasi altra persona che io avessi mai ascoltato! La cosa che mi ha colpito di più è stata la sua indole scontrosa, la sua paranoia”. Il Nixon di Spacey è infatti un uomo burbero basato su vecchi principi e dotato di una tagliente ironia. Come racconta lo stesso Spacey, interpretare il Nixon stratega bramoso di potere non avrebbe avuto alcun senso: “Quando Elvis e Nixon si incontrarono lo scandalo Watergate non era ancora scoppiato”, e forse non era stato neanche progettato. Nixon salì alla Casa Bianca nel 1969 e incontrò Elvis che aveva ancora il vento in poppa delle elezioni. La diffidenza che lo spinse ad intercettare i suoi avversari politici era ancora una peculiarità caratteriale più che una strategia politica. Si crogiolava nel successo di alcune piccole rivoluzioni che la sua amministrazione stava portando avanti: la fine della segregazione razziale nelle scuole, i nuovi rapporti d’amicizia instaurati con la Cina, la fine della guerra in Vietnam. Non era la prima volta che un ultraconservatore portava avanti un cambio d’epoca, la storia del mondo è piena di questi paradossali eventi. Ma forse fu proprio questo il terreno d’incontro tra Nixon e la personalità che più di tutti era ai suoi antipodi, cioè Elvis Presley.

Avevano molto in comune: erano nati poveri, ma erano diventati grandi, i più grandi e i più potenti del mondo. L’uno come Presidente e l’altro come icona pop, erano l’incarnazione perfetta del sogno americano. Mentre Nixon sedeva sullo scranno più alto del potere, Elvis inanellava una serie di record ancora imbattuti, rivoluzionando la storia della musica. Con gli episodi di isteria collettiva che si verificavano durante i suoi concerti e il miliardo di telespettatori raggiunti in mondovisione, Elvis Presley era diventato la prima icona pop della cultura di massa che il mondo avesse mai conosciuto.

Vestire i suoi panni non dev’essere stato un compito semplice per Michael Shannon. Anche qui, l’attore si focalizza sul suo aspetto umano. Nelle poche interviste rilasciate durante la sua carriera, Presley lamentava di aver perso quel ragazzino di Memphis, l’essere umano rimasto sepolto sotto strati di lustrini. Shannon va a cercare quell’uomo lì. E lo trova in un’interpretazione pacata, ben lontana dalla personalità esuberante che tutti conoscono. Il Presley degli anni ’70 era quello del grande ritorno sulla scena musicale dopo un decennio di silenzio, andava in giro atteggiandosi come un sovrano, guadagnandosi l’appellativo di “The King”, il re. Ma c’erano degli aspetti oscuri nella vita di Elvis che Shannon cerca di far trasparire.

Si era circondato di amici fidati che con il passare del tempo lo avevano isolato dal mondo, la chiamavano la “Memphis Mafia”. Il suo manager Tom Parker lo usava come una macchina per far soldi, la perdita di umanità lo portò all’abuso di antidepressivi. Shannon interpreta un re che mostra i primi segni di cedimento, e lo fa molto bene. C’è un particolare che gli spettatori notano, e cioè che Shannon non assomiglia ad Elvis. Non è una questione di poco conto. L’immagine di Presley era tutto, soprattutto in quegli anni. Sebbene Elvis arrivò all’incontro con Nixon che era un cresciutello di 35 anni, la sua immagine era ancora quella di un ragazzino con gli occhi azzurri e la pelle di pesca, e ci si ostinò a mantenere quel volto anche quando era ormai appesantito dall’abuso di farmaci. La produzione del film spiega di aver scelto Shannon per il suo fascino magnetico, molto simile a quello che Elvis esercitava sul pubblico. Si tratta in realtà di un fascino molto diverso: Elvis era estasi, Shannon è tenebra.

“Molte persone mi hanno detto: non sapevo che Elvis fosse così conservatore… è vero? – racconta Shannon – Ciò che credo che sia importante nella figura di Elvis è che lui è sempre conscio di chi ha davanti, della persona con cui sta parlando, ed era in grado di fare conversazione sull’argomento che la persona voleva affrontare”. Cioè la sua capacità di affascinare, per l’appunto. Non sappiamo quali fossero le idee politiche di Elvis Presley, non le ha mai volute dichiarare. Suona effettivamente strano che potesse avere simpatie per Nixon, la sua produzione musicale e la biografia lo avvicinano più idealmente a un Kennedy. Invece scrive a Nixon supportando una politica di repressione nei confronti dei movimenti giovanili dei ’70, musicalmente rappresentati da Beatles e Rolling Stones, e chiedendo addirittura un distintivo dell’FBI per portare avanti questa missione. Forse l’avversione di Elvis per gli hippie derivava da una concorrenza musicale più che politica. La moglie Priscilla, nel libro Elvis & Me, ha scritto che il distintivo dell’FBI sarebbe servito a Elvis solo per “entrare legalmente in qualsiasi paese portandosi dietro tutte le pistole e le droghe che desiderava”. Insomma, forse Elvis voleva semplicemente un distintivo, ecco. L’aspetto più assurdo di tutta questa faccenda, non è la richiesta di Elvis, che potrebbe essere un semplice capriccio da star. Ma il fatto che quel burbero di Richard Nixon glielo concesse.

 

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