UNDICESIMO SCOTTO

Sempre affidabile il rocker nostrano

PINO SCOTTO – DOG EAT DOG – Nadir Music/Audioglobe – 2020

Produzione Pino Scotto & Tommy Talamanca

Formazione: Pino Scotto -voce; Steve Volta – chitarre e cori; Leone Villani – basso; Federico Paulovich – batteria; Mauri Belluzzo – tastiere

Titoli: 1) Don’t waste your time; 2) Not too late; 3) Before it’s time to go; 4) Right from wrong; 5) Dust to dust; 6) Dog eat dog; 7) Rock this town; 8) One world one life; 9) Talking trash; 10) Same old story; 11) Don’t be lookin’ back; 12) Ghost of death

 

Pino Scotto è l’identikit del rock per nostalgici, questo detto non con accezione negativa, ma semplicemente come dato di fatto.

70 anni e ancora a fare dischi e tour (appena l’emergenza Covid lo permetterà di nuovo) meritano un’alzata di cappello per questo signore dalla fede incrollabile nel rock, ormai, ahinoi, relegato a musica quasi esclusivamente per vecchietti.

Eppure il nostro, sia a livello di immagine col suo curriculum radiofonico e televisivo che a livello di produzione musicale, non ha mai fatto mancare i suoi diti medi al mondo intero, non certo meno degli attuali rappers o pseudorappers che impazzano tra i giovanissimi.

Nulla di nuovo, questo senz’altro, nella proposta di Scotto, ma rassicuranti certezze. Anche stavolta, come nel precedente Eye to eye di un paio di anni fa, il cantato è interamente in inglese, ma probabilmente non per “darsi u contegno”, ma proprio perchè più adatto davvero a queste sonorità.

L’attacco sibillino del singolo Don’t waste your time promette molto bene e il pezzo è potente, anche se a mio modesto avviso si avverte un sound un pò troppo asciutto della batteria di Federico Paulovich, autore comunque di un’ottima performance in tutto il disco. Il testo del brano sarebbe stato suggerito, a detta dello stesso Scotto, da un episodio vissuto sulla propria pelle, uno spavento preso per un catastrofico referto medico, fortunatamente poi rivelatosi sbagliato. La susseguente Not too late è un altro bell’episodio veloce, arricchito da una parte centrale blueseggiantee dalle tastiere di Mauri Belluzzo.

A seguire due ballad, Before it’s time to go (che tenta di rievocare, anche con l’apporto della voce di Francesca Garatti, l’epica War trains degli anni d’oro) e Right from wrong, decenti anche se resto del pensiero che la voce del nostro mal si presta ad atmosfere melodiche, tanto che ne esce sminuita perfino la riproposizione di Don’t be lookin’ back, ripescata dal glorioso repertorio Vanadium.

La title-track Dog eat dog vive (bene) di un bell riff iniziale e di una carica di energia costante, mentre One world one life, dedicata al figlio, si fa ascoltare anche per la comparsa del sax di Daniele Sepe, che conclude dolcemente il brano.

I ritmi più forsennati, grazie soprattutto all’abilità di Paulovich al rullante, sono quelli di Talking trash, contenente anche uno dei miglior guitar solo di Steve Volta, forse se la batte con quello della conclusiva Ghost of death, anch’esso partciolarmente graffiante.

Ci sono gli anni ’70 e ’80 in questo disco, e questo perciò non potrà che rivolgersi ad un certo target di pubblico, ma rendiamo onore ad un personaggio sempre fedele a se stesso, nonostante qualche vecchio eccesso dettato forse dal bisogno da “fare ascolto”.

Alessandro Tozzi

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