Dal 15 al 19 gennaio 2019
Compagnia Sofia Amendolea presenta
COMETA OFF
Prima nazionale della versione in lingua italiana
FATTORIA (Liberi di essere Schiavi)
scritto e diretto da Paolo Alessandri
liberamente ispirato a “Animal Farm” di G. Orwell
Interpreti e personaggi Fattoria
CLEOPATRA, maiale, Lucrezia Coletti
BIANCANEVE, maiale, Selena Bellussi
SQUEALER, maiale, Alessandra Barbonetti
SYBIL, pappagallo, Daniele Flamini
TITUS, montone, Gabriele Namio
BERT, mulo, Vincenzo Paolicelli
MOLLIE, puledra, Sophia Angelozzi
POLLY, gallina, Ilaria Arcangeli.
Costumi: Monica Raponi
Organizzazione: Ramona Genna
Produzione: Compagnia Sofia Amendolea in collaborazione con Legge 180 Teatro
INTRO: Ascesa e Declino di una Democrazia Contemporanea
Otto animali, diversi per carattere e razza, si trovano a vivere in stato di SCHIAVITU’ (Capitolo 1). Sottoposti al comando del fattore, disprezzati e abusati, decidono di unirsi per dare vita alla RIVOLUZIONE (Capitolo 2), con l’intento di conquistare la LIBERTA’ (Capitolo 3). Riuscendo nel loro intento si troveranno a sperimentare la DEMOCRAZIA (Capitolo 4), fino ad allora perfetta sconosciuta. Si rende necessario darsi delle regole. Ma la gestione malsana della fattoria “democratica”, che vede emergere la figura del maiale come leader intellettuale, li trasformerà nuovamente in vittime. Da qui l’umanizzazione, vista come vera e propria traslazione negativa, degli inconsapevoli protagonisti. L’ EVOLUZIONE (Capitolo 5) porterà i nostri personaggi a dover prendere drastiche soluzioni ai problemi che intanto continuano a sorgere: violando le regole della Rivoluzione, uccidendo, giustiziando. Si insinua lentamente la presa di coscienza del fallimento, che genererà SENSO DI COLPA (Capitolo 6) verso gli eroi della Rivoluzione e verso sé stessi. Ormai tutto è cambiato, ma al contempo tutto tornerà ad essere come prima della Rivoluzione. I maiali, forti della loro intelligenza, hanno vinto sui compagni più deboli, rendendo gli altri liberi, sì, ma per la precisione LIBERI DI ESSERE SCHIAVI (Capitolo 7).
14/1/2020 – Libertà e schiavitù. Democrazie carenti e totalitarismi. Nemici dichiarati e falsi amici del popolo. Col suo bestiario politico e i suoi spaventosi esperimenti sociali il Novecento ha impartito all’Uomo una ben triste lezione. Sarà stata realmente compresa? Il presente offre non pochi dubbi, a riguardo. Nel dicembre 2019 lo spettacolo della Compagnia Sofia Amendolea, finalmente indirizzato al pubblico italiano, ha riscosso nell’anteprima al Premio Dante Cappelletti un successo notevole. Ma è forse persino più degno di nota che a FATTORIA (Liberi di essere Schiavi) siano stati precedentemente tributati premi del Pubblico, della Critica, per la Miglior Regia, per la Miglior Drammaturgia e altri ancora, durante una circuitazione festivaliera che a livello internazionale ha toccato paesi come l’Egitto e la Polonia, la Macedonia e la Serbia; territori, cioè, dove in tempi più o meno recenti governi autoritari, divisioni etniche e forme di controllo militare hanno reso ben chiaro al popolo quanto pervasivo, drammatico e talora sottile possa essere il giogo dell’oppressione. Il pubblico più maturo di tali nazioni avrà fatto meno fatica che altrove a comprendere. Come a dire che il messaggio di Orwell, dato che di questo si sta parlando, conserva una sua terrificante attualità.
Da parte nostra abbiamo beneficiato di un’opportunità ancora più singolare, visto che allo spettacolo scritto e diretto da Paolo Alessandri abbiamo assistito al Cometa Off di Roma in una atmosfera decisamente “sui generis”, trattandosi della prima riservata alla stampa del 14 gennaio. Un esperimento non così comune, sia per i giovani – e affiatatissimi – interpreti che per noialtri addetti ai lavori, sparsi in platea. Quella tensione tipica delle prove generali si è però sciolta in una messa in scena potente, sinuosa, carica di suggestioni e resa ancora più avvolgente dalla particolare cadenza ritmica, da una sorta di andamento cantilenante imposto in scena dalla musica e dalle grida sofferte degli attori, animali antropomorfi, animali schiavizzati, animali robotizzati il cui comunicare attraverso popolari ritornelli, slogan e versi onomatopeici introduce già al clima plumbeo della fattoria, alla meccanizzazione dell’esistente.
“Tolta una divisa, sotto ce n’è sempre un’altra”, questa era l’amara lezione del Sergente Steiner a.k.a. James Coburn nel sottostimato capolavoro di Sam Peckinpah, La croce di ferro. Qualcosa del genere si può dire riguardo agli animali della fattoria. Se, sotto la guida dello Zio Tobia di turno, la gestione capitalistica della fattoria era fatta di sfruttamento e crudeltà assortite, la soluzione non poteva essere certo un potere rivoluzionario andato incontro, per opera di certi Maiali (che ci piace immaginare con lo sguardo tetro di Stalin), a una deformazione profonda. Ed è così che la “fattoria liberata” diventerà teatro di nuove ingiustizie, nuove forme di lavori forzati, nuove suddivisioni gerarchiche ancor più ipocritamente giustificate. Le maschere degli animali deposte quasi ritualmente ai lati. Le prossemiche studiatissime degli attori. L’essenzialità di uno spazio scenico che i così coreografici movimenti degli interpreti rivestono di senso, alludendo in tal modo a destini individuali e collettivi. Grazie a quell’impostazione scenografica, che alla lontana ci ha ricordato la poetica cinematografica di Lars von Trier (Dogville e soprattutto Manderlay, per quei riferimenti alle piantagioni di cotone cui si allude anche nel corso dello spettacolo, tramite l’atteggiamento e i canti lamentosi dei protagonisti animali), Paolo Alessandri ha saputo riproporre, attualizzare e problematizzare ulteriormente il pessimismo orwelliano, lasciando impressioni profonde su cui riflettere.