Intervista a Daniele Tullio

Con il percorso festivaliero di My Favorite Things iniziato da poco, abbiamo voluto sentire il regista, ricavandone uno stimolante scambio di vedute

È iniziato il percorso festivaliero di My Favorite Things, girato da Daniele Tullio durante il periodo del lockdown dovuto all’emergenza sanitaria da Covid-19, con l’obiettivo di raccontare le condizioni di vita durante la quarantena di chi l’arte la esercita come professione. Il cosiddetto “distanziamento sociale” non ci ha comunque impedito di contattare il regista e di avere con lui un’interessante conversazione.

Come è nato il progetto che ha portato alla realizzazione di My Favorite Things e qual è stata la tua prima reazione al durissimo lockdown della primavera scorsa?

My Favorite Things è un progetto nato un po’ per caso e un po’ perché me lo son portato dietro da tutta la vita. La musica jazz e le canzoni di John Coltrane, Miles Davis e Pat Metheny erano sempre presenti nella macchina di mio padre, quando dovevamo fare i lunghi viaggi. La mia è una famiglia di musicisti e amanti del Jazz, mio padre è un ex chitarrista e mio zio un jazzista e sassofonista di professione. Un giorno, ancor prima che scattasse il lockdown, mentre ero a casa dell’amico Gabriele Spampinato – compositore della colonna sonora del documentario – lui e la moglie senza alcun preavviso si sono messi a suonare My Favorite Things, non la versione di Coltrane ma la versione di Julie Andrews tratta dal film Tutti insieme appassionatamente. Riconoscendo subito le sonorità, ho promesso a me stesso che nel successivo lavoro, che un giorno avrei realizzato, avrei tentato d’inserire quella canzone. Qualche tempo dopo scattò il lockdown, e come molte altre persone mi sono ri-trovato senza un lavoro, spaesato, senza uno scopo. Ho passato la prima metà del lockdown a leggere libri e a guardare film. Un sabato mi sono recato al supermercato sotto casa, ho incontrato nuovamente il mio amico compositore con la moglie, e chiacchierando del più e del meno ci siamo promessi di collaborare su qualche progetto artistico una volta finito questo triste periodo. Tornato a casa raccontai tutto alla mia ragazza che mi disse: “facciamolo ora! Tanto che abbiamo da fare in questo momento?” Da li a qualche giorno, e dopo qualche chiamata a colleghi ed amici ho deciso di realizzare un prodotto che non fosse tanto di denuncia sulla condizione lavorativa del mondo dello spettacolo, quanto invece una testimonianza di persone che vivono tentando di fare le cose che amano di più, “My Favorite Things”, anche in un periodo in cui si può apparentemente fare ben poco. Con in mano un canovaccio narrativo alcune suggestioni visive e tanta voglia di raccontare è partito il tutto.

Quanti mesi è durata la lavorazione del film? Come si sono svolte le riprese e il montaggio?

La lavorazione del film è durata otto mesi tra produzione e postproduzione. Abbiamo realizzato la maggior parte delle riprese in presenza nell’arco di tre giorni. Per le riprese non in presenza ci siamo affiancati ad una bellissima realtà emergente: The ZoomRoom, la prima Web Serie italiana girata ai tempi del Coronavirus, scritta e diretta da Ettore Belmondo. Un progetto, al quale uno dei protagonisti del mio documentario partecipava in maniera attiva ancor prima della nascita del documentario. Per il resto mi sono fatto inviare alcune testimonianze di colleghi ed amici sulla loro condizione di vita durante il lockdown. da quel momento è partita la fase di montaggio. Il mio obiettivo era quello di far identificare lo spettatore con almeno una delle tre storie proposte. Parallelamente Gabriele Spampinato si è prodigato alla costruzione di una colonna sonora originale e re-interpretando la canzone My Favorite Things.

Ecco, più in particolare, come è avvenuta l’interazione con questa Web Serie, The ZoomRoom?

In questa circostanza mi sembra giusto passare la palla al creatore di The ZoomRoom Ettore Belmondo: “Livia Massimi, che partecipava sia a The ZoomRoom che al documentario My Favorite Things, si è ritrovata in modo del tutto naturale a svolgere il suo lavoro per la Web Serie mentre Daniele documentava il momento. Dopodiché, si è pensato di integrare il documentario con alcuni spezzoni della serie e qualche intervista ad alcuni attori. D’altra parte, l’idea di creare una Web Serie durante la pandemia è nata proprio come reazione all’impossibilità di lavorare, un tentativo per esplorare il mezzo “internet” e le possibilità che ci offriva, e questo era perfettamente nello spirito del documentario: raccontare gli artisti, le loro vite e le loro reazioni durante il lockdown”.

Daniele poi aggiunge: “Dal canto mio ho sempre pensato che l’unione di più gruppi di lavoro in determinate circostanze può fare la differenza. Sono stato fortunato a scoprire questa realtà. L’utilizzo di queste nuove tecnologie come Zoom (software di video conferenze) ed applicarlo ad un progetto artistico l’ho trovato a dir poco geniale. Il processo di collaborazione tra i due gruppi di lavoro è avvenuto in maniera del tutto naturale

Durante questo lungo periodo, ti è capitato di vedere altri lavori, italiani e non, inerenti alla situazioni dei lavoratori dello spettacolo durante la pandemia o agli altri scenari inquietanti, emersi con il lockdown? Nei mesi scorsi si sono visti gli approcci più disparati, dalla commedia all’italiana con il film di Enrico Vanzina al più sarcastico e polemico “Corona Days” di Fabio Del Greco…

Non ho voluto vedere nessun lavoro inerente alla situazione degli artisti e sul Covid per cercare di mantenere una visione più personale possibile sia a livello estetico che a livello tematico. Mi piace confrontarmi sul progetto con i miei collaboratori ma con gli altri lavori lo faccio una volta messo a punto il prodotto che volevo in origine realizzare. Riguardo al problema del mondo dello spettacolo, mi sono informato attraverso i TG ed internet anche perché mi riguarda a livello lavorativo.

Cosa pensi invece della situazione attuale, con lo scandalo dei cinema e dei teatri ancora chiusi?

Il processo della chiusura dei cinema è iniziato ben prima della pandemia. Il lockdown non ha fatto altro che velocizzare il tutto. Solo a Roma, quanti cinema sono andati falliti ancor prima della crisi sanitaria? Moltissimi. Idem i teatri.
Non siamo più abituati al cinema e all’andare al cinema. Per questo tipo di attività si richiede un impegno di tempo e denaro che il pubblico non è più invogliato a spendere. Decisamente più facile e comodo vedere un film sulla poltrona di casa davanti al televisore con il proprio abbonamento mensile, risparmiando tempo e denaro. Si sta poco a poco perdendo la magia della sala cinematografica, le luci che si spengono e l’odore dei popcorn, sono i tempi che cambiano, non è un caso che la maggior parte dei film distribuiti in Italia sono concentrati dentro i multiplex all’interno dei centri commerciali, con dei palinsesti a livello d’offerta sempre uguali durante tutto l’anno. E’ il mercato che è così. Solo ripartendo dalle scuole, educando i ragazzi alla visione di un film, si potrà forse salvare le sale cinematografiche e i teatri che stanno diventando sempre di più un posto per pochi. La pandemia è secondaria a questo processo, è solo un effetto che accelera il tutto.

Tornando a My Favorite Things, che accoglienza sta ricevendo in queste sue prime uscite?

Per ora buona, meglio di quanto auspicato all’inizio, ma la strada è ancora lunga, abbiamo appena iniziato un viaggio e non sappiamo dove ci porterà. L’importante per me e per tutto il gruppo che ha lavorato su My Favorite Things è quello di restare umili e continuare a portare avanti il progetto, mantenendo sempre la rotta verso una determinata direzione, solo alla fine di tutto tireremo le somme e faremo le dovute valutazioni. Per ora sta andando bene ma non mi voglio sbilanciare

Per finire, in quali altri progetti sei impegnato attualmente?

Continuo il mio lavoro come operatore video a Mediaset e sono alla ricerca di finanziatori per un paio di idee che ho in mente da tempo.

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