Intervista a Stefano Piazza, autore di “Scusi, chi ha fatto palo?”

Scusi, chi ha fatto palo
166 citazioni, 3 interviste, un "raccogliautore". Stefano Piazza, giornalista sportivo, con il suo "Scusi, chi ha fatto palo?" (Barbera Editore), narra le vicende degli azzurri sin dalle prime partite, sotto lo sguardo del Duce, fino a giungere ai giorni nostri. Un modo per (ri)vivere ricordi ed emozioni, legati all'attualità di questi giorni, con gli Europei di Calcio.

Scusi, chi ha fatto paloStefano, come nasce l’idea di questo libro?
Per gioco, a dire il vero, visto che sono da sempre appassionato sia di calcio che di citazioni (c’è sempre qualcuno che ha espresso alla perfezione un’idea che non riuscivamo ad afferrare).

Per puro caso, mi sono imbattuto in frasi celebri che avevano a che fare con gli Azzurri, poi è stato facile “collezionarne” altre e, a un certo punto, mi sono reso conto di averne abbastanza per poter realizzare un libro.

Questo mi ha dato anche l’occasione di fare qualcosa di utile, devolvendo il 20% dei diritti d’autore a Soleterre (www.soleterre.org). In particolare, “Scusi, chi ha fatto palo?” dovrebbe contribuire a consolidare e ad ampliare il progetto per l’accoglienza e la riabilitazione di bambini ammalati di cancro, a Kiev.

Il calcio è nelle vene di tutti (o quasi) gli italiani. Se durante l’anno alcuni snobbano coppe e campionati vari, per la Nazionale si ferma il Paese. Tutti allora diventano C.T. e schierano la loro formazione, tutti si improvvisano telecronisti, tutti fanno i processi. Ma il calcio non è “soltanto” un gioco? Cos’è il calcio per te?
Il calcio non è mai “solo” un gioco. Per Blatter (che è diventato ricco e potente, grazie al pallone) è “panem et circenses”; per Montalban, è una sorta di religione popolare.

Cesar Menotti distingue addirittura tra “calcio creativo”, quindi collocabile a sinistra, e “calcio conservatore”, espresso soprattutto tramite lo sforzo fisico, quindi di destra. Però, lo stesso Montalban ricorda Hans Peter Briegel, terzino del Verona e della Germania Ovest, uomo di sinistra ma calciatore tostissimo, muscolare.

Tante parole solo per dire che il calcio pervade tutta la nostra vita (ricordi le interrogazioni parlamentari ai tempi di “Moggiopoli”?).

Lo si può detestare, o amare alla follia, ma sarà sempre una parte fondamentale del mondo che ci circonda.

Il titolo del libro, è una delle citazioni forse più note al pubblico, grazie a un famosissimo film, che ha reso più che mai veritiera, la passione degli italiani per il calcio. Il film in questione è “Il secondo tragico Fantozzi” di Paolo Villaggio, nella mitica scena in cui Fantozzi si arrampica al primo piano di una finestra, rompe il vetro con un pugno, esclama la famosa frase e riceve in risposta un altro pugno. Gli italiani, oggi, cosa sono disposti a fare per il calcio?
E’ difficile dare una risposta precisa. A giudicare dagli stadi sempre meno frequentati, sembrerebbe che gli italiani non siano disposti a impegnarsi poi molto.

Poi, però, vedo le rivolte per due punti di penalizzazione, vedo Berlusconi decidere (forse) di non vendere Thiago Motta e Ibrahimovic per non irritare i tifosi/potenziali elettori e mi rendo conto che il calcio continua a muovere gli italiani molto più di quanto non facciano religione e politica.

Diciamo che molti italiani baratterebbero amici e parenti anche stretti con uno scudetto.

Per la Champions League, forse, rinuncerebbero anche alle mogli.

Cito. “Sessant’anni di matrimonio con un c.t. Come ce l’abbiamo fatta? Semplice. Non ho mai visto una partita“. Anna Valcareggi, è forse l’emblema femminile di come si possa “sopravvivere” al calcio?
Temo di sì, almeno in parte. Se parliamo di “addetti ai lavori” (calciatori, allenatori, dirigenti, giornalisti), il coinvolgimento è tale che, una volta a casa, sarebbe forse meglio evitare di parlarne troppo. In fondo, è lavoro.

Per la gente “normale”, invece, il discorso può essere un po’ più semplice. Le donne sono sempre più tifose, a volte anche più dei loro uomini. L’importante è che si faccia il tifo per la stessa squadra.

Quando gioca la nazionale, però, tutto cambia. Anche i più snob, che vanno a cena al ristorante o cinema proprio quando gioca l’Italia, non possono fare a meno di chiedere come sia finita la partita.

E le donne non fanno differenza.

Beppe Grillo, anni fa, raccontava della madre, completamente digiuna di calcio, che al Mundial ’82 si arrampicava sulle tende del salotto a ogni gol di Paolo Rossi.

A proposito di C.T., quale è stato secondo te, quello che più si è distinto in nazionale ed ha lasciato un ricordo vivido tra giocatori e tifosi?
Enzo Bearzot, senza dubbio.

Il Mondiale spagnolo, per molti, è l’ultima grande vittoria del nostro calcio. Nonostante l’emozione per il trionfo del 2006, è impossibile negare che quell’impresa abbia ormai sconfinato nell’epica.

Chi non ricorda la pipa di Bearzot, il suo abbraccio con Pertini, la partita a carte a bordo dell’aereo presidenziale?

Lippi è stato un grande CT (nonostante il disastro del 2010) ma buona parte dei tifosi azzurri gli rinfacciano un passato juventino impossibile da “perdonare” persino dopo un Mondiale vinto.

Tra calciatori e giornalisti si è sempre creato un clima di forte complicità. Puoi svelarci qualche piccolo segreto innocente?
Confesso di non avere amici tra i calciatori, in quanto è più che altro una frequentazione professionale.

Trovo molto più divertenti i legami che si creano proprio tra colleghi, nel mondo dell’informazione, soprattutto durante le lunghissime trasferte per Mondiali o Europei.

Gli inviati del Manifesto, per esempio, mi fecero da “fratelli maggiori”, ospitandomi e “nutrendomi” a Johannesburg, mentre il figlio di un operatore de La 7, a Pretoria, diede fuoco per sbaglio alle tende dell’appartamento che la rete aveva riservato per i propri inviati.

Credo si sia pentito di aver portato in Sudafrica tutta la famiglia.

I calciatori, secondo te, ambiscono ancora ad indossare la maglia azzurra? Nel tuo libro ho letto diversi interventi di Roberto Mancini, che teneva moltissimo a quella maglia, ma che per svariati motivi, seppur venisse convocato, spesso si ritrovava in panchina. Oggi c’è ancora quel senso di “delusione” per una mancata partita disputata?
Il calcio è sempre meno romantico e sempre più legato ai quattrini e gli stessi Club preferirebbero sottoporsi a un controllo fiscale, piuttosto che concedere un calciatore alla nazionale.

Nonostante questo, io credo che la maglia azzurra rappresenti ancora il massimo, per un giocatore.

Ricordate le polemiche per le mancate convocazioni di Balotelli e, soprattutto, di Cassano da parte di Marcello Lippi? Il caso di Christian Vieri, poi, è davvero emblematico. Dopo aver perso il Mondiale 2006 e l’occasione di vincere quella coppa per via di un infortunio, Vieri smise praticamente di giocare e cadde in una vera e propria depressione. A me, questo, sembra amore vero.

Emozioni, sfide, lezioni di vita: il calcio insegna che nulla è perduto, finchè si gioca fino in fondo. Come nella straordinaria partita “Italia-Germania, 4 a 3”.
Beh, essendo cresciuto guardando Holly e Benji, il calcio è una vera filosofia di vita e il sogno è sempre quello di ribaltare un risultato negativo proprio quando tutto sembra perduto (non solo nel calcio, ovvio).

Se Roberto Baggio si fosse arreso, l’Italia avrebbe salutato il Mondiale 1994 molto prima della finale persa contro il Brasile e noi avremmo reso felici milioni di nigeriani.

Lo stesso Mundial spagnolo ci vide impegnati contro Argentina e Brasile, due avversari semplicemente impossibili da battere. Tutti, però, sappiamo come andò a finire.

Qual è la partita più emozionante che hai visto?
Dal vivo, Olanda-Uruguay 3-2, semifinale di Sudafrica 2010, e Spagna-Olanda 1-0, la finale (partita brutta, ma pazzesca, l’evento a cui tutti sognano di assistere).

Da tifoso-telespettatore, Italia-Brasile 3-2, al Mundial 82′ (anche se avevo solo 7 anni), e Italia-Nigeria 2-1, a Usa ’94.

Qual è invece la tua squadra del cuore?
La nazionale. E il Monza, che è appena retrocesso in Seconda Divisione, la vecchia C2.

In realtà, sarei juventino, ma faccio sempre più fatica a crederci a causa di “Calciopoli”, per poi passare alla pantomima delle tre stelle, del complotto mediatico, dei magistrati “anti juventini”.

Grottesco.

Nel tuo libro ci sono non solo successi, ma anche sconfitte. Sconfitte che non sono negative di per sè, ma che insegnano a crescere. Quando magari non ci si mette di mezzo qualche arbitro di parte. L’episodio dell’arbitro Moreno è uno dei più clamorosi?
In realtà, l’arbitro Moreno fu un’invenzione del nostro calcio. Impossibile dimenticare la battuta del mitico Serse Cosmi (“Moreno è l’unico direttore di gara con la cellulite in faccia“), ma Moreno, pur non essendo certo “amico” dell’Italia, fu aiutato da un’infinità di errori azzurri.

Avremmo dovuto e potuto stravincere, ma ci ritrovammo a soffrire, sbagliando troppi gol, e a regalare il gol del pareggio, a due minuti dalla fine, per un errore di Panucci.

Meno noti, ma più gravi, furono gli arbitraggi dell’inglese Aston in Cile, nel ’62 (Biscardi, grandioso: “Stavamo per prendere lo stesso taxi e lo spinsi via: buffone!”) e quello del brasiliano Viana, in Svizzera, nel ’54, che fu pure picchiato, negli spogliatoi, e poi radiato. In entrambi i casi, i padroni di casa furono nettamente favoriti.

Oggi, forse, con la sovrabbondanza di informazioni e con la copertura mediatica a tappeto, sarebbe molto più complicato.

Nelle tre interviste che concludono il libro, hai scelto Roberto Donadoni, Marcello Lippi e Fabio Pisacane. Vuoi svelarci il perchè?
Avrei voluto parlare con gli ultimi tre commissari tecnici, ovvero Prandelli, per evidenti ragioni, Lippi, da campione del mondo, e Donadoni, che considero un grande allenatore arrivato in Nazionale nel momento sbagliato.

Purtroppo, non è stato possibile parlare con Prandelli in tempi utili per la pubblicazione del libro, quindi ho dovuto tagliare una parte del progetto.

Fabio Pisacane, invece, è un autentico mistero mediatico, in quanto è un calciatore che non vestirà mai la maglia azzurra, ma ha dimostrato un grandissimo coraggio, denunciando un tentativo di combine. Nonostante questo, l’attenzione di tutti si è concentrata su Farina, fantastico, ovviamente, ma per la stessa ragione di Pisacane.

Prandelli lo ha capito e ha chiamato entrambi a Coverciano, ma è stato strano vedere il gesto di Fabio quasi dimenticato, solo perchè il momento non era “mediaticamente” propizio.

Anche qui, purtroppo, piccolo taglio dovuto a problemi tecnici. L’idea era di intervistare sia Pisacane che Farina, ma il giocatore del Gubbio temeva l’assalto dei media, in quel momento, e ha preferito non parlare della sue esperienza.

Ed ora le note dolenti. Negli ultimi tempi il calcio è stato scosso da diversi scandali. Il gioco più bello del mondo si è trasformato in un mero business o c’è ancora speranza che regali altre emozioni?
Devo ripetermi ancora. E’ difficile dare una risposta.

In realtà, se non credessi ancora nel sogno che il nostro sport da regalarci, non avrei mai scritto questo libro. Se devo dar retta al cervello, però, faccio sempre più fatica a guardare una partita senza chiedermi se il risultato non sia stato deciso prima a tavolino, magari a Singapore.

Senza arrivare a parlare di “calcio infetto”, come lo ha battezzato la Gazzetta dello Sport, basta guardare Euro 2012. L’Italia arriverà alla semifinale contro la Germania con due giorni in meno di riposo (una differenza non da poco, in un torneo così compresso). Perchè? Perchè la vera padrona è la televisione, che non può perdere spettatori. Una partita al giorno, in prima serata, e pazienza se i primi a giocare saranno favoriti. Ma c’è di peggio.

La UEFA ha punito la banana tirata dai croati a Balotelli, con tanto di ululati razzisti, con una multa di 80mila euro, cioè 20mila in meno dei 100mila che dovrà pagare il danese Bendtner, che aveva festeggiato un gol mostrando le mutande con il logo di uno sponsor “personale”.

Come ha scritto Aligi Pontani su Rapubblica, la lesa maestà agli affari UEFA, che ha i suoi permalosissimi sponsor da non disturbare, è più importante dell’insulto ai diritti umani. E allora vogliamo ancora protestare per due giorni in meno di riposo prima di una partita?

Chi vincerà gli Europei di Calcio?
L’Italia, ovvio! Però, se siete scaramantici, voto per il Portogallo (così, magari, riesco a gufare Cristiano Ronaldo, il calciatore più antipatico di Euro 2012).

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