KASABIAN CAPITOLO SESTO

Meno convincente del solito il nuovo album

KASABIAN – FOR CRYING OUT LOUD – SONY – 2017

Produzione: Sergio Pizzorno

Formazione: Tom Meighan – voce; Sergio Pizzorno – chitarra, basso, cori, piano e sintetizzatori; Chris Edwards – basso e cori; Ian Matthews – batteria

Titoli: 1 – Ill ray (the king); 2 – You’re in love with a psycho; 3 – Twentyfourseven; 4 – Good fight; 5 – Wasted; 6 – Comeback kid; 7 – The party never ends; 8 – Are you looking for action?; 9 – All through the night; 10 – Sixteen blocks; 11 – Bless this acid house; 12 – Put your life on it

 

Sesto lavoro dei Kasabian e, lo dico subito, sembra che il fuoco di qualche anno fa si vada ammosciando, nonostante un uso più massiccio della chitarra di Sergio Pizzorno.

Rispetto alle sonorità abbastanza nuove, almeno nel modo di assemblarle, dei loro momenti migliori, questo For crying out loud, accompagnato da una copertina brutta quasi a voler farlo apposta, indica un certo stallo nelle idee e un riciclo, per quanto intelligente, di colpi già messi a segno in passato.

Basta già il singolo You’re in love with a psycho a capire l’antifona: un effetto filastrocca che non ti aspetteresti mai dai Kasabian, un occhiolino strizzato agli stadi, agli spot televisivi, alla radio o fate voi a che cosa, che inevitabilmente mortifica gli amanti del rock autentico in tutte le sue ramificazioni.

La situazione si ripete in altri episodi, ad esempio Good fight, troppo dolciotta nel suo ritornello che pretende di appiccicarsi in testa e vi riesce fino ad un certo punto.

L’accostamento ai Kula Shaker degli anni ’90 gradualmente si sbiadisce, ne resta qualche traccia in Wasted, ma anche l’opener Ill ray (the king) mi ha generato nella mente un deja-vu ChumbaWamba, per un attimo ho pensato di aver sbagliato disco.

Sprazzi di antichi splendori sono ravvisabili, comunque, non buttiamo via tutto: la cupezza di The party never ends, la rumorosità di Twentyfourseven o le atmosfere pseudo-mistiche di Are you looking for action? con la sua misteriosa felicità, le sue voci lontane e il suo incedere ossessivo.

Però sembra pochino per i livelli cui ci hanno abituato nella decade precedente i Kasabian: l’impressione è che tolti i capricci più artistici ed esaurite le idee migliori, ora l’obiettivo siano i numeri, quelli delle classifiche, delle vendite, degli stadi. Un album per un buon 60% costruito in modo troppo “coccolone”, in alcuni passaggi manca solo di ascoltare Ale-oh-oh e il pasticcio sarebbe completato.

Onore al curriculum dei Kasabian, ma per questa volta, non dico bocciati, ma sicuramente attesi a qualcosa di più incisivo alla prossima uscita.

Alessandro Tozzi

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