La vita cronica

Il film di Chiara Crupi sull'omonimo spettacolo di Eugenio Barba, proiettato nella sua versione integrale all'interno di un'iniziativa molto ben concepita

Biblioteca Villino Corsini di Villa Doria Pamphilj, Roma, 23 febbraio 2019 (ore 10.30)

L’invito per La vita cronica, film proiettato per la prima volta nella sua versione integrale sabato 23 febbraio, in spazi suggestivi come quello del Villino Corsini di Villa Doria Pamphilj, ha rappresentato un’occasione davvero speciale. Non soltanto per l’intrinseco valore di ciò che la regista ha saputo realizzare o per la particolarità dell’evento costruito intorno al suo lavoro. Ma anche in virtù dell’afflato sentimentale che tale luogo ancora oggi conserva, agli occhi di chi scrive: difatti l’edificio situato nella storica villa romana custodisce anche la Biblioteca del Cinema Umberto Barbaro, che oltre ad essere risorsa preziosa per gli amanti della settima arte è anche testimonianza della splendida avventura redazionale vissuta con la rivista Cinemasessanta, diretta per anni dal compianto Mino Argentieri.

Ora non vorremmo, però, che il (peraltro giusto) rilievo dato alla cornice togliesse spazio al quadro. Le emozionanti riprese effettuate in teatro da Chiara Crupi non rappresentano certo l’unico esempio di interazione tra il mondo dell’audiovisivo e l’Odin Teatret, posto qui al centro del discorso. La splendida realtà creata da Eugenio Barba in Danimarca, solo per dirne una, era già stata oggetto nel recente passato di interessanti documentari tra cui Il paese dove gli alberi volano di Davide Barletti e Jacopo Quadri, passato nel 2015 alla Mostra del Cinema di Venezia. Lì ad essere catapultato in primo piano era il fecondo multiculturalismo che si respira a Holstebro. La vita cronica di Chiara Crupi sembra invece rispondere, brillantemente, ad una annosa questione: come filmare il teatro? Non attraverso un banale “teatro filmato”, è ovvio. L’approccio tentato dalla regista, cui significativamente ha offerto il proprio appoggio lo stesso Eugenio Barba, a livello di montaggio, è infatti una sinestetica riproposizione di quanto messo in scena dal Maestro, che si sottrae alla monocromia di un singolo punto di vista provando invece a rielaborare i diversi impulsi sensoriali (compresi quelli uditivi), il ruolo tutt’altro che passivo del pubblico e la sincronicità delle azioni concepite sul palco.

Uno dei motori della rappresentazione è del resto il sats, l’impulso che muove l’azione e che costituisce una sorta di linguaggio comune per gli interpreti dell’Odin Teatret, così spesso provenienti da culture ed esperienze di vita diverse. Proprio questo, assieme alla simultaneità de movimenti in scena, si è cercato di rendere al montaggio; e a proposito di multiculturalismo, la forte carica emotiva di uno spettacolo come La vita cronica è dovuto anche al dolente requiem di cui si fa portavoce, sul palco, una folta galleria di personaggi, tesi a rispecchiare il caos della contemporaneità. Nell’ipotetico (ma neanche troppo lontano) futuro immaginato in Europa sono personaggi come questi a farsi strada: la vedova di un combattente basco, una rifugiata cecena, un avvocato danese, una casalinga rumena, un rocker delle isole Faröe e un giovane colombiano alla ricerca del padre scomparso.
Valido corollario della proiezione (nonché strumento utile a conoscere meglio i diversi interpreti dello spettacolo e il loro rapporto coi rispettivi personaggi, grazie alle tracce audio messe a disposizione del pubblico), la bella mostra interattiva allestita in loco. A rendere la già intensa esperienza spettatoriale di Villa Pamphilj ancor più ricca e immersiva.

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