Le regole del giuoco del tennis

Il Teatro Vascello trasformato nel Centrale del Foro Italico, per uno degli spettacoli più arguti e creativi del Roma Fringe Festival

Le regole del giuoco del tennis
di Mario Gelardi
Proveniente da Caserta
Con Gaetano Migliaccio, Enrico Pacini
Regia: Michele Brasilio
Tecnica: Marina Cioppa, Stefania Remino
Produzione: Compagnia Vulìe

Intro: Una partita a tennis, precisamente un doppio, diventa metafora per raccontare le dinamiche del rapporto d’amicizia tra Matteo e Guido. I due ragazzi sono molto diversi tra loro: uno spavaldo e sicuro di sé, l’altro timido e insicuro. Prendendo spunto dalle regole da manuale del tennis i due si raccontano. La partita assume, allora, un altro significato, un’altra prospettiva che è quella di uno scambio serrato di battute volte a mettere alla prova l’altro, a conoscerlo sempre più a fondo, per poi, alla fine, rivelarsi e ridefinire i contorni e le regole di un’amicizia che forse è qualcosa di più. La partita diventa un modo ironico per raccontare tutti i luoghi comuni sull’omosessualità.

Gioco. Partita. Incontro. E fu così che il Teatro Vascello si trasformò in un campo secondario del Foro Italico. O nel leggendario Centrale, se preferite. In ogni caso è col “circoletto rosso“ tanto caro a Rino Tommasi e Gianni Clerici che vorremmo commentare questo spettacolo giunto al Roma Fringe Festival dopo aver debuttato in Campania. Sì, perché Le regole del giuoco del tennis di Mario Gelardi ci ha soddisfatti sia come amanti del teatro di ricerca, sia come… tennisti! Visto che tale disciplina sportiva ci sta molto a cuore.
Lo stesso Teatro Vascello ci ha accolto nella circostanza come fosse una superficie sintetica da tenere a battesimo. Le linee del campo tracciate in scena. Due borsoni un po’ particolari in prossimità di dove si sarebbero andati a posizionare i giocatori. E, prima ancora che gli interpreti salissero sul palco, a far compagnia al pubblico è stata molto coerentemente la registrazione di un frammento di partita, coi punti chiamati in inglese, che in un attacco di maniacalità ci siamo sforzati persino di seguire. Così, giusto per entrare nell’atmosfera. Poi spazio a loro, i due attori, anzi, doppisti, dei quali avremmo apprezzato ben presto la perfetta alchimia. Non tanto nel condurre il gioco, visti i punti persi banalmente nell’affrontare un’immaginaria coppia avversaria, quanto piuttosto nel dar vita a una drammaturgia vivace e dai notevoli impulsi creativi.

Il doppio va comunque presentato. Cominciando magari da Gaetano Migliaccio, che in un certo senso conoscevamo già come “singolarista”, avendolo precedentemente apprezzato tra gli interpreti di un altro spettacolo degno di nota, Cyrano Station. Nel passare con disinvoltura da una rivisitazione del Cyrano de Bergerac alla racchetta da impugnare gagliardamente, lo abbiamo qui ritrovato quale compagno di doppio dell’altrettanto bravo Enrico Pacini, classifica ignota, ma analoga capacità di incastrare certi serrati scambi verbali (e anche i movimenti fisici che li accompagnano) con tempismo perfetto. Terminate davanti alla platea le rispettive confessioni biografiche, una sorta di intro incentrata sul tema del migliore amico che corrisponde forse alla parte meno incisiva della pièce, Matteo e Guido – tali i nomi dei protagonisti –  si accingono a disputare il classico match da circolo contro una coppia di borghesotti, tra loro fratelli, incontro che offrirà però il pretesto per analizzare a fondo un rapporto di amicizia percepito come importante da entrambi ma non ancora completamente esplorato, nelle sue diverse implicazioni. Comprese quelle relative alla sessualità e alla sfera affettiva. Del resto Matteo e Guido sono assai diversi come carattere, vengono da famiglie di ceto differente e le loro prime scelte esistenziali non sono andate certo nella stessa direzione. Ma a volte è proprio dalle differenze, dal rivelarsi complementari, che può scaturire un feeling particolare. Nella vita come in un doppio.

Il valore metaforico del tennis non è stato indagato così spesso a teatro, fino ad ora. Vengono in mente molti più esempi letterari e cinematografici: a partire magari dallo splendido Match Point di Woody Allen! L’archetipica partita a tennis senza pallina mimata in Blow Up di Antonioni resta però, almeno secondo noi, l’esempio maggiormente appropriato. Questo, perché Gaetano Migliaccio e Enrico Pacini sono bravi non soltanto sul piano verbale, ma anche nel sostanziare i discorsi mimando l’azione sportiva a un ritmo pazzesco. E sforzandosi anche, per l’appunto, di rispettare quelle “regole del giuoco del tennis”, declamate con tono straniante in alcuni momenti chiave dello spettacolo. Tanta la cura, che a fine spettacolo li abbiamo voluti stuzzicare, ipotizzando che su un 15-40 il doppista al servizio non fosse schierato sull’angolo di battuta corretto. I due interpreti hanno sorriso e hanno controbattuto all’insinuazione con classe, rivelando così un temperamento diverso da quello del pazzerello per quanto a tratti geniale Fognini, che in una circostanza del genere… avrebbe quasi sicuramente spaccato la racchetta, come quando gli fischiano un fallo di piede! Facezie a parte, complice la brillante regia di Michele Brasilio, Le regole del giuoco del tennis è spettacolo che sa esplorare l’umanità dei personaggi abbinandovi una certa originalità nella messa in scena; un accenno di stilizzazione che diventa quasi coreografia astratta e sperimentale in quei deliziosi intermezzi, durante i quali la musica e altre sonorità ispirano le movenze dei due tennisti, portati ad accompagnare il ritmo come se fossero in un cartoon, in un musical o in un videogioco.

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