L’innaffiatore del cervello di Passannante

LA STORIA DELL’ANARCHICO LUCANO CHE CERCO’ DI UCCIDERE IL RE UMBERTO I DI SAVOIA

Nell’ambito del “Festival di Narrazione” è andato in scena lo spettacolo di e con Ulderico Pesce “L’innaffiatore del cervello di Passannante”.

E’ la storia di Giovanni Passannante, l’anarchico lucano che nel 1878 cercò di uccidere Umberto I di Savoia durante un corteo reale a Napoli. Condannato a morte, la pena gli fu convertita in ergastolo e fu rinchiuso in una torre sull’isola d’Elba, in una cella senza finestre sotto il livello del mare dove fu isolato per dieci anni, mentre sua madre e i suoi fratelli furono immediatamente internati nel manicomio di Aversa.

Per via delle pessime condizioni di detenzione (una cella piccola buia e umida, senza servizi igienici),  Passannante  si ammalò di scorbuto e di taenia, cominciò a cibarsi dei suoi escrementi finché anni dopo, ormai in preda alla pazzia, fu trasferito in un manicomio criminale dove morì nel 1910. Al cadavere fu tagliata la testa per studiarla e analizzarne il “profilo criminale”: il cranio ed il cervello successivamente furono considerati oggetti da museo, ed esposti al Museo Criminologico di Roma per circa 70 anni.

Nello spettacolo, la storia di Passannante è raccontata attraverso la voce di un carabiniere meridionale, un ex musicista di matrimoni che per assicurarsi un futuro è riuscito ad entrare nell’Arma grazie a una raccomandazione. Lavora al Museo Criminologico di Roma e tra i suoi compiti rientra quello di annaffiare quotidianamente con la formalina il cervello di Passannante, custodito in una bacheca del museo. Siamo in un giorno speciale: è prevista infatti la visita del presidente della Repubblica e il protagonista, in alta uniforme, ci racconta dei preparativi che si sono protratti per tutta la notte.

Il carabiniere ci fa visitare idealmente il museo: gli strumenti di tortura come la vergine di Norimberga, le gogne, le catene; ma anche il calco del cranio del brigante calabrese Villella, la cui fossetta occipitale mediana è prova inconfutabile del fatto che delinquenti si nasce, secondo le note teorie del Lombroso.

L’arrivo di una bella ragazza dai capelli biondi e gli occhi celesti, che si ferma a guardare proprio il cervello dell’anarchico custodito nella bacheca, sveglia dal torpore il carabiniere. Perché quella giovane e bella ragazza è così affascinata da quel cranio? La curiosità si impossessa allora del carabiniere: in poche ore legge tutto il materiale conservato in archivio, ma soprattutto i fogli che la bella ragazza ha dimenticato nel museo. Scopre allora la vita che si celava dietro quel cranio, le emozioni e le angosce che avevano vissuto quel cervello che lui annaffiava, stancamente, ogni giorno.

Come per il fratello di Antigone, Passannante deve aver diritto a una degna sepoltura. E uscendo dal racconto, proprio grazie a questo spettacolo e alle petizioni raccolte attraverso il suo sito, Pesce è riuscito finalmente a dare degna sepoltura ai resti dell’anarchico lucano. Nella sua idea il teatro è sempre civile, perché deve raccontare non solo per il gusto dell’arte ma soprattutto per svegliare le coscienze. Il teatro non è fine a se stesso insomma, ma deve “portare dei risultati” per dirla in maniera meno poetica.

Ora con due euro i visitatori del Museo Criminalogico non vedranno più il cervello di Passannante in bacheca, però c’è qualcosa in più da fare. Subito dopo l’attentato, il paesino natale di Passannante fu costretto come penitenza a cambiare nome da “Salvia” a “Savoia di Lucania”. Oggi Ulderisco Pesce si batte affinché torni il nome originario per restituire dignità e umanità storica al personaggio di Passannante, soprattutto per le torture fisiche e morali a cui è stato sottoposto. Nessun uomo merita un trattamento così disumano.

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