E PENSARE CHE ERAVAMO COMUNISTI

LA DERIVA DELLA SINISTRA IN UNA COMMEDIA TUTTA DA RIDERE

Scritto e diretto da Roberto D’Alessandro
Con: Roberto D’Alessandro, Maria Lauria, Cristina Fondi, Romano Fortuna, Silvia Falabella, Alfredo Calicchio.

Il sipario si apre su di un grande elegante salone stracolmo di quadri alle pareti. Seduto su una sedia, un domestico maghrebino legge furtivamente alcuni passi de “Il Capitale” di Karl Marx. E a pensarci bene, durante tutto lo spettacolo, il domestico immigrato sarà l’unico protagonista a riallacciare il filo con le basi storiche e culturali della sinistra tradizionale. Si, perché la commedia scritta e diretta da Roberto D’Alessandro ci racconta la crisi degli ideali politici e sociali di sinistra attraverso le vicende di una famiglia storicamente comunista. E lo fa con intelligenza e ironia, marcando nettamente le differenze con il passato: all’occupazione delle fabbriche si sostituisce l’attico ai Parioli, alla rappresentazione plastica del salone borghese pieno di quadri si contrappongono le fumose riunioni in “sezione”. Così, anche le “canne” vengono sostituite dai più rassicuranti e radical chic “fiori di Bach”.

Giulia e Rinaldo sono i protagonisti di questa commedia: si sono conosciuti negli anni ’70 (il periodo delle lotte studentesche e dei movimenti di protesta), si sono sposati e hanno attraversato tutte le crisi, dal crollo del muro di Berlino al dissolvimento dell’Unione Sovietica fino allo scioglimento del partito comunista. Adesso, la prima milita in Rifondazione Comunista (il cui ex segretario storico partecipa al matrimonio vip della soubrette Valeria Marini), il secondo è passato da DP, Democrazia Proletaria, al PD. Ma in questo alternare le lettere di alfabeto c’è tutto un mondo. “Morirete democristiani”, nella colorita invettiva della sorella calabrese giunta a Roma a causa di una crisi matrimoniale, c’è, più che un atto di accusa, un dato di fatto storico.

I figli della coppia vivono lontano dal fermento politico dei genitori: Nilde disegna i quadri che vengono affissi solo alle pareti di casa; Enrico, invece, è il figlio di una certa borghesia. Fidanzato con la figlia di un grosso avvocato romano accetta di candidarsi alle elezioni. Lo fa con “La Destra”. Ma tanto per lui certe “sfumature” non contano poi tanto.

Lo smarrimento politico è completo sia se lo si guarda da parte degli eletti sia se lo si guarda con gli occhi da elettori. Le contraddizioni emergono in maniera dirompente, tanto ormai le ideologie si confondono e si amalgamano e ai protagonisti non resta che appellarsi a slogan un po’ logori e iconografie attempate e derise. L’equazione destra = sinistra non si compie fino in fondo. Ed è giusto, così, il teatro ha gli strumenti per dire qualcosa di diverso sul crollo delle ideologie.

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