Roger Waters, ex bassista e mente creativa dei leggendari Pink Floyd, non deve dimostrare più nulla a nessuno. Ma i grandi della musica, pure dopo 50 anni di carriera come in questo caso, non sono mai banali: ne viene fuori un concerto che ribadisce come il “Muro” è ancora ben presente nelle nostre vite. Ci sono i muri dell’anima, i muri che separano, i muri non scavalcabili.
Una pièce teatrale, un dramma, uno spettacolo, un evento. Allo Stadio Olimpico di Roma erano in 50.000 (di diverse generazioni) ad attendere il “genio” per il suo “The Wall Live Tour”, il tour che celebra l’opera rock per eccellenza del panorama musicale mondiale, un album (anche se la definizione di album per questo disco appare più che mai limitante) che suggerisce, esprime, emoziona, fa riflettere, crea disagio, spaventa.
La scaletta non sorprende: è The Wall. Si spengono le luci e partono le note inconfondibili di “In The Flesh”, mentre una decina di potenti proiettori iniziano a trasmettere scritte laser sul leggendario muro bianco (una copertina storica…) allestito per la scenografia. La scritta recita in tutte le lingue del mondo “Io sono Spartaco”. E difatti il concetto ricorrente dell’album è proprio la ribellione da ogni forma di “schiavitù”, sia essa materiale o morale. Sul palco fa il suo ingresso trionfale in uniforme Roger Waters.
Un tripudio di suoni sintetizzati si alternano a voci, rumori e scoppi. La guerra è centrale nell’opera, ogni conflitto, quelli lontani delle guerre mondiali ma anche quelli più vicini degli attacchi terroristici. Guerre per il dominio, ideologie totalizzanti (nazismo, comunismo e capitalismo), ma anche ricchi contro poveri, potere feroce contro cittadini inermi e ancora guerra con se stessi e con il potere costituito (lo Stato, i genitori, il Preside della scuola…). E’ un canto disperato quello di The Wall, simbolo dell’insubordinazione e della resistenza contro il dominio del conformismo.
Il concerto è dedicato (direttamente da Waters in un buon italiano) alle vittime del terrorismo di Stato di tutto il mondo, ma soprattutto a Jean Charles de Menezes (e alla famiglia in cerca di verità e giustizia), ragazzo brasiliano ucciso dalla polizia a Londra nel 2005 perché scambiato per un terrorista.
Mentre passano le note della struggente “Mother” e di “Another brick in the wall”, i mattoni aumentano sempre di più sino a chiudere completamente il muro su Goodbye Cruel World che chiude la prima parte del concerto.
La separazione, il distacco e la speranza sono i temi centrali della seconda parte. Tutto ciò è chiaro fin dalle note e dalle parole di un autentico capolavoro come Hey you (Hey tu, con le orecchie al muro aspetti che qualcuno chiami, vorresti toccarmi?). La band suona separata dal pubblico, finché si suonano le note di “Nobody home” (una finestra si apre nel muro, ma l’impatto è di quelli che segnano efficacemente il dramma della solitudine). Gli spettatori raggiungono vette altissime di emozioni con l’assoluto Comfortably Numb e con il suo storico assolo di chitarra che fa emozionare lo stadio in un crescendo di intensità.
Con la seconda parte di “In The Flesh”, Waters torna nuovamente in scena in uniforme (sparando con una mitragliatrice contro il pubblico), infiammando il finale con la strepitosa “Run Like Hell” che culmina con l’abbattimento del muro.
The Wall è un concept album che possiede una precisa struttura narrativa (è sempre da consigliare la visione dell’omonimo film diretto da Alan Parker, con Bob Geldof attore nelle vesti di Pink), ma ormai ha superato la sua dimensione musicale: è un simbolo e come tale deve essere tramandato. Come sarà tramandata la presenza a questo evento.