INCONTRO CON GIANFRANCO ROSI

ALLA CASA DEL CINEMA IL REGISTA ROSI RACCONTA L'IDEA E IL PERCORSO CHE LO HA PORTATO A GIRARE “SACRO GRA”

L’occasione è data dal ciclo di incontri autunnali organizzati dall’ANAC alla “Casa del Cinema” di Villa Borghese. E’ qui che Gianfranco Rosi e Niccolò Bassetti incontrano gli spettatori al termine della proiezione di Sacro GRA, vincitore del Leone d’Oro alla 70° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

Un incontro, condotto da Ugo Gregoretti, che ha permesso al pubblico di dialogare con gli autori e agli stessi di raccontare i dettagli più intimi del film, il processo creativo, la scelta dei personaggi, gli aneddoti più divertenti.

Chi sono i personaggi del film? Quanto sono rappresentativi del GRA?

Gianfranco Rosi: Tutto il mio lavoro nasce da “incontri” con luoghi e personaggi.  Ognuno dei personaggi ha una storia complessa e ho potuto rappresentare solo un frammento di un qualcosa più grande ed eterogeneo. Non sapevo nemmeno che il raccordo fosse circolare, non sono romano e ho vissuto pochissimo a Roma. Da questo punto di vista, per me è stato importante, anzi fondamentale, l’apporto e il sostegno di Renato Nicolini.

Il film elargisce una forte ricchezza di stimoli. E’ “altro cinema”. E’ stato complesso governare personaggi così spontanei con la loro ripetitività e banalità?

Gianfranco Rosi: A dire il vero, si impara molto del proprio film proprio dall’analisi dei critici. E’ un film fatto di pancia, più con le intuizioni che con la ragione. L’identità dei personaggi, che sono prima di tutto persone, è fortissima non essendoci un racconto, una trama. E’ stato molto stimolante creare un film solo basato sulle emozioni. La sottrazione della storia, della trama, lascia spazio alla mente dello spettatore. E mi pare che tutti i personaggi che ho scelto alla fine abbiano una dimensione poetica. Basti pensare al nobile decaduto torinese o anche al principe moderno.

Come è riuscito a coinvolgere i personaggi del film?

Gianfranco Rosi: Il coinvolgimento nasce dal rapporto che si è creato, dall’interazione e dalla fiducia che nel corso del tempo si è sviluppata. Per questo motivo ho scelto di girare sempre da solo. Io con la mia telecamera e il personaggio. E poi io ho bisogno di tempo. Infatti il progetto inizialmente doveva durare due anni, ma poi gli anni sono diventati tre. Prima ho iniziato ad attraversare il GRA, a farmi introdurre nei luoghi e nelle vite dei personaggi scovati da Niccolò, poi ho cominciato a girare gli ambienti e infine sono giunto ai personaggi.

Qualcuno dei personaggi si sentiva osservato? A volte sembrava recitassero…ad esempio, l’infermiere era così benevolo?

Gianfranco Rosi: Il lavoro del documentarista consiste nel trovare la verità, l’anima dei personaggi. L’importante è che sia vera. I personaggi interpretano se stessi, come in “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani.

Pensando alla realtà del GRA, mancano i “veleni” e la violenza della notte. Perché?

Gianfranco Rosi: Ho cercato storie di ragazzi, ma non le ho trovate. Ovvio, mancano tantissimi aspetti, ma non volevo creare un catalogo sociologico. Mancano gli immigrati, i ricchi, le famiglie borghesi, tante altre categorie e status. Mi sono concentrato sulle storie con cui ho costruito un legame. In fondo è una favola.

Niccolò Bassetti: Ho incontrato tantissimi personaggi e sono stati selezionati in base all’empatia. Non sono andato alla ricerca di casi umani, io cercavo “altro”. Il film ha una visone poetica di uno spaccato della vita. La drammaturgia è presente.

Come nasce l’idea originaria del film?

Niccolò Bassetti: Mi hanno soprannominato l’ideologo…L’origine del progetto nasce da un giro del raccordo che ho fatto a piedi (io sono un paesaggista). Ho girato subito l’idea a Gianfranco ma all’inizio non era tanto convinto… Mi ha richiamato dopo un anno! Ed è durato tre anni. 

Il film esce nello stesso periodo della Grande Bellezza. Ma Sacro GRA è un’altra Roma. Qual è il filo di queste due romanità?

Gianfranco Rosi:  Una domanda che mi fanno spesso. Dal punto di vista registico sarebbe divertente proiettarli contemporaneamente su due proiettori! La grande differenza, secondo me, è che nel film di Sorrentino c’è un pastore senza gregge. Da noi è esattamente il contrario.

Niccolò Bassetti: Veronesi ha detto che Roma è rappresentato da due centri. Uno è fermo, mummificato, che non ha più filiazioni, l’altro è un dinamismo continuo. Il film è ironico e nostalgico. È ordinario nel suo senso di carpire il sentire comune. Questa è vita, vita intima. È come se dentro Roma ci sia confusione, mentre la cinta del GRA la stringe. Come un quadro deve essere guardato più volte.

Il film rappresenta in Italia qualcosa di fuori dall’ordinario. Un film che è ricerca e sperimentazione, che nel nostro cinema è messo al bando. Perché?

Gianfranco Rosi: È sbagliato il senso che si da alla parola documentario. C’è molta differenza tra il documentario e un film: la differenza è nel metodo. Col documentario posso partire da solo con la mia valigia. È come la differenza tra l’artigiano e l’industriale. Il documentario ha un enorme potenziale nella sperimentazione. La parola che lega il documentario alla finzione è la parola cinema. C’è una scrittura per immagini. 

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