Intervista ad Alessandro Cives

Al Polmone Pulsante un'edizione davvero speciale di Roma Cantautori

Da diversi anni ci è noto non soltanto il percorso musicale – e più in generale creativo – di Alessandro Cives, ma anche l’impegno profuso per la crescita del cantautorato e di una scena musicale indipendente nella capitale, impegno concretizzatosi in quello splendido progetto che è Roma Cantautori. Grazie a lui abbiamo scoperto anche uno spazio culturale unico nel suo genere come il Polmone Pulsante. E proprio lì, di fronte a un’edizione del festival rivelatasi ad aprile particolarmente intensa, ricca di sorprese, impreziosita poi da ospiti la cui poetica non poteva certo lasciare indifferenti, abbiamo pensato fosse giunto il momento di fare il punto della situazione. Lasciando naturalmente la parola a lui, Alessandro Cives.

Cominciamo proprio dalle origini: da quali esigenze e in che circostanze è nato quello che nel corso degli anni è diventato, a livello musicale, il più genuino festival della capitale, ovvero Roma Cantautori?

Roma Cantautori nasceva nel lontano 2012 prima di tutto da una mia esigenza personale di cantautore ma che, inevitabilmente, corrispondeva in qualche modo anche all’esigenza di tutti i miei colleghi del settore. Mi spiego meglio: La vita di un cantautore d’inizio millennio era ed è molto difficile, basti pensare che, la stessa definizione di “cantautore”, è spesso accantonata, dalla maggior parte del pubblico, preferendo quella più inflazionata e per nulla corrispondente di “cantante”. Questo ci indica che stiamo vivendo un periodo storico e quindi anche culturale in cui, da parte del pubblico, la percezione di un ruolo come il nostro nel panorama musicale, si rivela essere molto limitata e limitante. Nascevano poi i famigerati talent che, in breve tempo, hanno trasformato molti di noi colleghi in volgari concorrenti televisivi spesso colpevoli, secondo gli improbabili giudici eletti non si sa con quale criterio dall’olimpo televisivo, di essere troppo particolari, originali o, per non farci mancare nulla, di portare addirittura sfortuna (si sentiva anche questa). Sembrava che ormai il tempo per essere originali fosse scaduto inesorabilmente. Sembrava che alle persone bastassero quei nomi del passato, nomi che, in qualche modo, avevano forse fatto e detto già moltissimo ma certamente non proprio tutto e che, trasformati ormai in icone sacre e insostituibili, continuavano in qualche modo con la loro presenza egemonica, soprattutto nell’ immaginario collettivo, a impedire che una scena cantautorale nuova e rinnovata potesse dire e possa dire anche oggi la sua. Poi, una sera, mi capitò di parlare con una signora molto addentro le attività e le iniziative intraprese dal Ministero dei Beni Culturali la quale, mi faceva sapere che per il jazz in Italia, si stavano stanziando dei fondi. Prontamente domando: “E per noi cantautori?”. La risposta fu agghiacciante: “Ma voi cantautori siete morti e sepolti”. Quella sera stessa decido di fondare “Roma Cantautori”. Creo quindi una pagina Facebook con l’intento di divulgare, tramite dei post, tutto il materiale originale esistente del passato e del presente, senza fare mai alcuna distinzione di alcun tipo tra “sconosciuti” e “famosi”, l’obiettivo primordiale era quello di creare un palinsesto autentico e veritiero che desse la reale percezione alle persone di quanto in realtà, a livello artistico, fosse inesistente il divario tra le due categorie di cantautori. Una specie anche di censimento, di registro dei cantautori per rendere evidente la nostra esistenza ma soprattutto la nostra ricerca. L’esperimento riuscì alla perfezione e le persone risposero benissimo. Come mai allora le radio non potevano proporre una medesima situazione? Certamente il motivo era il più antico di tutti i tempi, quello economico. Poi, un giorno, Andrea Ungheri del Centro Promozionale delle Arti e della Ricerca “Polmone Pulsante, il cui palco aveva ospitato già in passato diversi miei live, mi telefonò proponendomi un altro live a breve distanza di tempo. Un po’ perché quell’anno avevo già suonato almeno cinque volte, un po’ perché non c’era moltissimo tempo per promuovere l’evento, decisi di fargli una controproposta, ovvero una serata che coinvolgesse più cantautori, una vera e propria rassegna. In questo modo, pensai, tutti uniti, avremmo potuto promuovere il tutto con più facilità. Andrea accettò con entusiasmo e in breve avevamo già una locandina da diffondere.
Senza troppo organizzarci, mettiamo in piedi questo concerto con quattro cantautori. I partecipanti erano: Ryan il Figlio di Margaret, Il Sogno della Crisalide, la band dei Kriya ed infine me. Fu un enorme successo sia artistico, sia a livello di partecipazione del pubblico. Una serata che trasmise a tutti un grandissimo entusiasmo ed il desiderio di ripetere la rassegna negli anni successivi. Era a tutti gli effetti iniziata la storia del Festival di Roma della canzone d’autore. Quella fu la prima edizione.

Qualche parola in più, volendo usare un termine cinematografico, per la “location”: proprio grazie a Roma Cantautori abbiamo scoperto qualche anno fa uno spazio culturale pressoché unico in città, il Polmone Pulsante, con una storia a dir poco incredibile alle spalle. Potresti raccontarci come è nato il tuo incontro con un luogo del genere e con la straordinaria eredità artistica di Saverio Ungheri?

Il poeta Claudio Monachesi, ospite quest’anno del Festival di Roma

Nel 2005 studiavo presso l’Istituto di Arti Ornamentali San Giacomo di Roma, frequentavo il Corso C di Pittura e Composizione Artistica tenuto dal Professor Piero Simoncelli, grandissimo artista del panorama artistico di quel tempo già fin dagli anni 60. Piero Simoncelli non era soltanto un teorico dello studio dell’arte e della tecnica, voleva anche che i suoi allievi si cimentassero e facessero esperienza sul campo pur se privi di qualsiasi esperienza. Un giorno ci portò ad esporre alcuni dei nostri lavori, per lo più esercizi e appunti di studio, in un luogo che lui ci raccontava essere dalla bellezza indescrivibile, si trattava appunto del Polmone Pulsante. Ricordo che, appena arrivati, l’accoglienza calorosa fu tantissima sia da parte del pubblico sia da parte di Saverio Ungheri, il fondatore di questo luogo che, chiamare galleria, sarebbe assolutamente riduttivo. Conoscere poi Saverio Ungheri per noi fu un grandissimo onore. Era lui che, assieme ad altri grandi artisti come Sante Monachesi e David Grazioso, fondò nel 1959 il movimento artistico dell’Astralismo. Il Polmone Pulsante era un’altra sua meravigliosa creazione, il nome stesso gli fu dato da un’opera realizzata dallo stesso Ungheri e che tutt’ora è ancora presente in questa meravigliosa location. Il mio maestro, sapendo che da tempo ero impegnato anche in un importante progetto musicale, quello dei Linea B, complesso musicale da me fondato nel 1999, propose a Saverio Ungheri di farci esibire di tanto in tanto al Polmone Pulsante, magari in occasione anche di altre mostre affinché potessimo fare da cornice musicale alle opere esposte che nei mesi si susseguivano tra una collettiva e una personale.
Già dalle prime esperienze, mi resi subito conto che il pubblico del Polmone Pulsante, si caratterizzava per una spiccata profondità, sensibilità ed attenzione. Come se il luogo stesso attraesse verso di se soltanto situazioni di questo tipo. Oggi si parla tanto di Grande Bellezza, termine credo coniato e reso famoso nel celebre film di Sorrentino, ma sono abbastanza sicuro di poter affermare che il Polmone Pulsante avesse proprio tutte le carte in regola per essere definito il cuore, l’anima di questa Grande Bellezza. Tutt’ora, quando mi esibisco sul palco del Polmone Pulsante, tra un brano e l’altro non mancano mai domande da parte del pubblico sempre attento ed interessato, ed il dialogo, il dibattito su ciò che si è creato e su ciò che si sta proponendo al pubblico in quel preciso istante, entra nel vivo più che mai. Cosa può volere di più un artista?

L’anno scorso un’edizione del festival molto bella ma indubbiamente “di Resistenza”, così a ridosso delle angherie da noi tutti subite per la folle e anche criminale (come sta cominciando ad emergere persino dalle ultime inchieste giudiziarie) gestione della pandemia, “orizzonte degli eventi” che del resto aveva fatto capolino anche in alcune tue canzoni. Quest’anno invece abbiamo colto una crescita esponenziale del vostro progetto artistico e culturale. Quali sono i ricordi più forti che hai della precedente edizione? E come si è lavorato durante l’anno per arrivare a questa, così ben strutturata, pure a livello comunicativo?

Emiliano Guiducci

Iniziamo con il dire che ormai da due anni, svolge il ruolo di organizzatore assieme a me, anche il cantautore polistrumentista Emiliano Guiducci. Ricordo comunque che la precedente edizione, quella del 2022, fu vissuta da entrambi certamente con grandissima voglia di fare e di ricominciare, soprattutto a seguito del periodo pandemico che ci stavamo da pochissimo lasciando alle spalle ma, il fatto che molte persone che avevamo attorno ci scoraggiassero dal rimettere in moto tutto quanto, dandoci degl’incoscienti o dubitando del fatto che il pubblico stesso potesse voler ancora partecipare come accadeva nel periodo pre-pandemico, ci destabilizzava visibilmente togliendoci un po’ di serenità e, forse, anche un po’ di concentrazione nel preparare tutto nel migliore dei modi. Avevamo però, come sempre succedeva ormai da diverse edizioni, moltissime richieste di partecipazione e questo ci dava una grandissima forza. Quindi è esatto affermare che quella edizione fu caratterizzata da un profondo sentimento di resistenza. Io ed Emiliano poi, decidemmo di presentarci sul palco con un progetto piuttosto coraggioso chiamato “Scala di Grigio”, un progetto certamente per nulla timoroso di esporre i propri contenuti che, se non sono di rivoluzione, poco ci manca. Scala di Grigio affrontava ed affronta tutt’ora argomenti che vedono come protagonisti gli ideali di libertà e di resistenza soprattutto nei confronti del regime del pensiero unico, quello che ormai da tempo, vuole attanagliare le nostre esistenze. Inevitabilmente poi, dentro il tema della libertà e della resistenza al regime del pensiero unico, sorgono temi di carattere geo politico, socio politico, culturale, economico, mediatico e di costume. L’edizione precedente poi, prendeva forma in un periodo piuttosto delicato, caratterizzato da una profonda divisione tra la gente. Le persone stesse, da almeno un anno e mezzo, vivevano spesso divisi, l’uno contro l’altro, sempre in cerca del “cattivo elemento da segnalare alla collettività”. Un gioco sporco che vedeva spesso prevalere come dinamica il principio del “o con me o contro di me”, detto ancora meglio “se non sei d’accordo con me, allora sei fascista, complottista, terrapiattista, omofobo, razzista ecc ecc ecc”. Forse Scala di Grigio nasce in quel preciso istante, proprio come sintomo conseguenziale di questi atteggiamenti che, a tratti, ci ricordavano anche un po’ i tempi del Ventennio, un periodo storico in cui persone come noi sarebbero state definite disfattiste. Ricordiamoci sempre che ci sconsigliavano, anzi ci vietavano di stringerci la mano, che alle persone che avevano rifiutato di farsi vaccinare impedivano di andare a lavorare o di accedere ad un museo o a un evento pubblico perché sprovviste di un “miracoloso” documento denominato “green pass”. Ricordiamoci anche di quanto si siano dati da fare per rendere sempre più prevaricante la digitalizzazione. Ricordiamoci di quanto fosse forte lo scientismo più sfrenato. Ricordiamoci soprattutto di quante persone abbiano abbracciato con enorme entusiasmo tutti questi atteggiamenti ritenendoli giusti, definendoli comportamenti da persone responsabili e per bene. Ricordiamoci che tutto questo inferno fatto spesso di discriminazioni fu scatenato ed è forse tutt’ora scatenato da una categoria di persone che si definiscono di sinistra e antifasciste. Ricordiamoci anche che il gioco preferito di queste persone, innanzi alla questione del conflitto tra Ucraina e Russia, non è certamente quello di cercare la pace bensì di stabilire chi siano i buoni e i cattivi, di inviare armi a quelli che ritengono siano i buoni e di ostracizzare chi ha un pensiero divergente dal loro. Ricordiamoci ancora che, sempre queste persone, disprezzano i poveri da anni e che, sempre da anni, promuovono politiche liberiste, politiche a favore degli industriali, politiche contro le famiglie, contro il benessere a cui tutti hanno diritto, contro i lavoratori ma, soprattutto contro la Costituzione.

Alessandra Catalano

Ecco, la scorsa edizione del Festival di Roma, organizzato da noi di Roma Cantautori, aveva, come scenografia storica, tutti questi aspetti e, tra i partecipanti, un progetto musicale che aveva come contenuti, una serie di denunce nei confronti degli argomenti sopraindicati, denunce peraltro decisamente senza peli sulla lingua. Non posso nascondere che avevamo anche un po’ di timore a cantare di certe tematiche anche se, in fin dei conti, penso che il coraggio vero e proprio sia quello che ti fa fare le cose quando hai una gran paura di farle. Ma soprattutto, ci siamo detti: “Noi siamo cantautori e abbiamo il dovere di andare oltre la paura di parlare”. La nostra esibizione, alla fine, è stata apprezzata invece da moltissimi dei presenti, anche da persone tra il pubblico che sapevo essere inclini ad un certo tipo di politica. Ma in quel momento ho imparato una cosa su quel nostro progetto, ovvero che gli argomenti trattati nei nostri brani, portavano a delle conclusioni che inducevano l’ascoltatore, qualunque fosse il suo credo politico, a capire che il nostro intento rivelava principalmente amore per l’umanità e che quindi, quelle nostre conclusioni, non potevano in alcun modo non trovare l’approvazione di molti.

Frencys

Parlando invece di quest’ultima Edizione del Festival di Roma, certamente l’abbiamo organizzata in un contesto molto più disteso ed anche con molta più esperienza da parte nostra. Si parlava di questa VIII edizione già molti mesi prima ma ci siamo decisi per la data definitiva solo tra gennaio e febbraio. Abbiamo deciso anche di organizzarla con due mesi di anticipo, facendo in modo che niente potesse essere lasciato al caso: Dalla scelta dei candidati a partecipare, alla scelta dello special guest, dal coordinarci con i nostri affiatati partner, ovvero il Polmone Pulsante, la Casa Discografica e Casa Editrice Terre Sommerse che ha messo a disposizione del Festival quattro dei suoi artisti (tre cantautori ed un poeta), Corus, Vini Furnari e Musa Distorta, alla scelta delle strategie promozionali, dal coordinarci con il presentatore Angelo Campus alla cura dei dettagli relativi all’accoglienza verso il pubblico che avrebbe assistito al Festival. Questa VIII Edizione, come le altre, si è contraddistinta certamente da un lavoro promozionale ormai decisamente imponente ma potrei anche definirla senza dubbio la migliore riuscita tra tutte proprio perché la migliore strutturata ed alla quale abbiamo dedicato la maggior parte del tempo.

Enrico Capuano ospite di Roma Cantautori!

L’ottava edizione di Roma Cantautori si è distinta anche per gli ospiti, di eccezionale levatura, nonché per quelle intersezioni ancora più fitte con altre espressioni artistiche indubbiamente vicine al cantautorato, provenienti dall’universo letterario e più in particolare dalla poesia. Cosa puoi dirci a riguardo?

Gli ospiti che sono intervenuti quest’anno non avrebbero in realtà bisogno di presentazioni: Enrico Capuano, considerato il capostipite del folk rock italiano fin dal 1979. Quello che tutti in Italia conoscono perfettamente per la Tammurriata Rock. Diverse partecipazioni al Concerto del Primo Maggio sia come artista sia come conduttore. Leader indiscusso della scena indipendente nazionale. A mio avviso, ma anche secondo tantissimi amanti di un certo tipo di musica, grande ed autentico artista. Quest’anno poi avevamo bisogno di un vero “fratello maggiore”, artisticamente parlando, che potesse e volesse essere al nostro fianco per accompagnarci ed ispirarci maggiormente in questa nostra nuova Edizione. Quando l’ho contattato per parargli del Festival di Roma è stato subito entusiasta all’idea di partecipare ed io naturalmente ancora più di lui.
Altro ospite incredibile, il poeta e scrittore Claudio Monachesi. Avere un poeta nella scaletta del Festival di Roma ha costituito forse la vera novità della manifestazione.
Ha pubblicato con Terre Sommerse diversi libri prevalentemente di poesia e saggistica.
Ha letto per l’occasione alcuni suoi componimenti poetici tratti dai libri “AK Poesia per l’acqua” e“Rinvenire” entrambi pubblicati da Terre Sommerse. Unica cosa del Festival per nulla organizzata invece è stato l’intervento di Claudio Monachesi sulla coda di un mio brano intitolato “Nervi a fiori di pelle”. Si è trattato di un brano da me scritto di recente che prevedrebbe in coda una parte recitata. Non sentendomi io ancora così in grado di interpretare nel migliore dei modi questa parte recitata, ho chiesto a Claudio, quasi all’ultimo momento, di darmi una mano recitando al posto mio il testo previsto dalla coda.
Ho avuto in questo modo l’onore di condividere il palco con questo grandissimo poeta e spero che in futuro ci sia ancora occasione di poter fare qualcosa insieme a lui.

Alessandro Cives con Chiara Sorbo

Potresti farci una carrellata dei cantautori che si sono esibiti quest’anno, oltre a te, sul palco del Polmone Pulsante?

Quest’anno, oltre me, i partecipanti del Festival di Roma sono stati, nel primo blocco della serata: Giuseppe Cataldi Capodiluce, Frencys ed Alessandra Catalano, questi ultimi due peraltro come esordienti del Festival. Nel secondo blocco invece, provenienti come me dalla Etichetta Discografica Terre Sommerse: Chiara Sorbo ed Emiliano Guiducci presentandosi peraltro al pubblico ciascuno con delle pubblicazioni recentissime: I singoli “Donna” e “Il silenzio del mare” per quanto riguarda Chiara Sorbo e l’album “Roma Trastevere Est” per quanto riguarda invece Emiliano Guiducci.

Relativamente alla tua esibizione ci ha particolarmente colpito, anche sul piano emotivo, il primo brano che hai cantato. Sappiamo che c’è una storia molto profonda dietro. Ce la potresti raccontare? E già che ci sei, potresti dirci due parole anche sul tuo utilizzo dell’armonica, che abbiamo trovato più veemente, “aggressivo” del solito, quasi ad amplificare un grido esistenziale che viene da lontano?

Il brano con il quale ho aperto la mia esibizione si intitola “Remigio De Leonardis”, si tratta di un brano scritto di recente che vuole essere un omaggio alla vita del Maestro De Leonardis, artista ed intellettuale che, a partire dagli anni ’80 fino alla sua morte, ha svolto la sua ricerca artistica e filosofica esprimendola con il linguaggio del corpo e del teatro, a tratti, secondo me, ricordando anche un po’ la biomeccanica teatrale. A molti, il nome di questo grande Maestro, può non dire nulla ma in realtà, a Roma, quasi tutti, almeno una volta in Piazza Barberini, lo hanno spesso visto impegnato in una sua qualche performance con il corpo ma anche con la voce. Purtroppo, come spesso avviene, Remigio De Leonardis, non fu capito quasi da nessuno. Roma è una città, unica, meravigliosa ma che, allo stesso tempo, rivela nella sua unicità una serie di effetti collaterali, uno dei quali, la superficialità delle moltissime persone che la popolano. Ricordo che da adolescente, passando per Piazza Barberini, mi capitava spesso di soffermarmi quasi estasiato ad ammirare il gande lavoro che il Maestro De Leonardis svolgeva, vestito sempre in modo molto creativo, un look scenico che non passava mai inosservato. Le persone però, non capendo questo tipo di espressione artistica, risolsero la loro lacuna esperienziale prima ancora che culturale etichettandolo come “matto”. Sinceramente non sono mai stato d’accordo con questa diffusissima opinione. Di recente poi, ho letto alcune testimonianze, forse apocrife, che hanno confermato le mie teorie su questo meraviglioso artista: Laureato, aveva il sogno di diventare maestro d’orchestra, proposito questo che sembrerebbe sia sempre stato in qualche modo impedito ed ostacolato dalla sua famiglia fino a portarlo ad una scelta rivoluzionaria della sua esistenza, forse anche di protesta ma certamente una scelta che, forte della enorme cultura di cui De Leonardis poteva avvalersi, lo aveva portato in breve tempo ad ideare un suo personalissimo manifesto artistico che faceva confluire più espressioni contemporaneamente, da quella teatrale a quella ginnica, a quella circense.
In qualche modo, con il linguaggio del corpo, De Leonardis interpretava in qualche modo il ruolo di un direttore di orchestra dirigendo la meravigliosa area musicale della realtà che ci circonda, quella della vita, delle persone che passano e che vanno di fretta, quella del traffico del centro storico di Roma e, per esprimere e mettere in scena tutta questa sua rappresentazione, aveva scelto appunto come teatro della sua ricerca artistica, la location di Piazza Barberini. La sua attività è proseguita per molti anni, credo fino ai primissimi anni del 2000. Poi purtroppo, causa anche l’età avanzata, tutto terminò un po’ in sordina fino agli ultimi giorni della sua vita trascorsi e conclusisi in una clinica. Quello che ci rimane oggi è semplicemente il ricordo della sua arte, della sua preziosissima opera ed è anche questo il motivo che mi ha spinto ad omaggiarlo nel brano che ho presentato in apertura della mia esibizione all’interno del Festival di Roma, ovvero, affinché di questo importante artista, rimanesse nella storia una traccia che ci raccontasse ancora qualcosa di lui, da qui a per sempre. Non importa quanto ci sia di vero circa quello che ho sentito raccontare su di lui ma trovo certamente ingiusto che, in un’epoca ove tutto è registrato, archiviato, storicizzato, di lui ci fosse solo un’ apocrifa tradizione orale.
L’armonica è uno strumento poi che mi accompagna da quando è iniziata la mia carriera di cantautore, fin dai tempi dei Linea B e, man mano nel tempo, il suono che da essa sono riuscito ad ottenere nei vari brani dove ho scelto di utilizzarla, è maturato sempre di più nel tempo. Diciamo che, nel tempo, è fisiologicamente accresciuta la mia consapevolezza del suo utilizzo anche in base a quello che sono io, in base a quella che è la mia ricerca del suono e dei temi che affronto ma, soprattutto, all’interno di una mia precisa intenzione di far emettere, delle volte, agli strumenti che suono, grida e dissonanze, accordi aperti, corde a vuoto, risonanti, vibranti, quasi a raggiungere una distorsione della natura prima ancora che elettrica. Nel brano “Remigio De Leonardis” c’è un’armonica che assolutamente grida, come appunto lanciasse il grido di chi vuole essere ascoltato, di chi vuole essere capito e anche il suono emesso dal caos di questa città, Roma, pur tuttavia senza rasentare mai neppure per un’istante la cacofonia. Qui più che mai la scelta del suono, quindi propriamente la ricerca del suono, si collega strettamente alla ricerca tematica. Quindi effettivamente l’armonica in questo brano ma anche nell’utilizzo che ne faccio in generale è più veemente e grida!

Infine, c’è da pensare che dopo il successo di questa edizione si stia già guardando al futuro, sia di Roma Cantautori che tuo come artista. In entrambi i casi che direzione ritieni sia giusto prendere?

Si, gli obiettivi ed i progetti legati al futuro di Roma Cantautori sono moltissimi: Uno di questi è quello di riuscire a crescere ancora di più soprattutto nell’ambito del Festival, cercando ad esempio di proporre questa rassegna cantautorale anche al di fuori del Polmone Pulsane pur mantenendo quest’ultimo come location principale. Va detto anche che l’VIII Edizione del Festival di Roma è tutt’altro che terminata e che vedrà svolgersi la seconda parte nel mese di luglio presso la Libreria Errante nel quartiere di Centocelle e la terza parte, nel mese di settembre, nuovamente al Polmone Pulsante. Vorremmo inoltre che Roma Cantautori, in futuro, offrisse ai cantautori, nuovi strumenti finalizzati ad affiancare ancora di più i cantautori nel loro percorso creando soprattutto sinergie.
Anche se ancora in fase embrionale, sta per nascere, ad esempio, all’interno di Roma Cantautori, “Roma Fonogrammi Musicali”, una realtà che tenterà in qualche modo di svolgere il ruolo di producer per tutti quei cantautori che scrivono canzoni ma che, al momento, non hanno alcun mezzo per potersi produrre autonomamente. Altro strumento che abbiamo in mente di mettere a disposizione sarà “La Città dei Cantautori”, non un luogo fisico vero e proprio ma piuttosto una filosofia che si concretizzerà in un momento di incontro e di orientamento tra cantautori, produttori, tecnici di registrazione, manager, fonici, professionisti esperti di diritto d’autore, giornalisti, addetti stampa, discografici, arrangiatori, turnisti ecc. ecc. In poche parole un’ulteriore occasione di condivisione del lavoro di chi è coinvolto nella questione cantautorale, questa volta però, affrontando temi più mirati ed approfonditi tramite i seguenti strumenti: seminari, workshop, conferenze ed incontri di counseling.
Per quanto riguarda invece i progetti legati al mio futuro, per la fine di questa estate uscirà “Vol1” del progetto “Scala di Grigio”, ideato e realizzato da me e da Emiliano Guiducci e di cui ho già parlato ampiamente in precedenza. Oltre Scala di Grigio poi, sto cercando di terminare le registrazioni del mio terzo album che vorrei intitolare “Figlio di un geometra” e che raccoglierà brani molto diversi da quelli più intimi ascoltati all’interno del mio primo lavoro “Rose celesti” soprattutto perché, questi nuovi brani che intendo proporre, saranno prevalentemente dedicati a temi sociali e di protesta. Resta poi sempre aperta la mia personalissima ricerca di suoni e di ambientazioni sonore che, sono certo, mi porterà prima o poi a far uscire un secondo lavoro strumentale, dopo quello di “Passi di maggio” dedicato ad una giornata primaverile trascorsa a camminare sulla via Appia Antica. Stavolta, questo secondo lavoro, non privo di esperimenti, si intitolerà “Roma Vol1” ed avrà come intento, ancora una volta, quello di descrivere, tramite ambientazioni sonore il più delle volte sperimentali, aspetti, luoghi e situazioni che si possono vivere nella complicatissima esperienza di abitare a Roma.

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