Già nel recente passato, anche in virtù di un apprezzato passaggio nella capitale, abbiamo sentito parlare con entusiasmo di Più forte del destino, spettacolo in cui un argomento delicato come la sclerosi multipla viene affrontato con ironia, umanità e leggerezza. Del resto sarebbe difficile immaginare il contrario, se si considera che la protagonista stessa, Antonella Ferrari, con questa rognosa malattia ci si confronta da anni; ed inoltre ha già avuto modo di esorcizzarne i risvolti più duri con la pubblicazione di un libro, ristampato diverse volte, da cui ha poi preso spunto l’esperienza teatrale. Ora lo spettacolo è tornato in scena. Le prime date del piccolo tour hanno visto protagoniste, ai primi di dicembre, Milano e Bergamo. Adesso che Più forte del destino sta approdando in Campania (15 Dicembre 2016, ore 21:00, Napoli – Teatro Cilea / 16 Dicembre 2016, ore 21:00, Salerno – Teatro Augusteo) abbiamo pensato di sentire direttamente la popolare e disponibilissima attrice, per saperne di più.
Per iniziare, Antonella, vorremmo chiederti come è avvenuto il passaggio dalla pubblicazione del libro, intitolato Più forte del destino – Tra camici e paillettes. La mia lotta alla Sclerosi Multipla, alla realizzazione di uno spettacolo che così tanti consensi va raccogliendo in giro.
Innanzitutto il libro me lo hanno proposto altri, nel 2012, poiché io forse non avevo ancora il coraggio di farlo, ma molta gente continuava a chiedermelo. L’ho pubblicato con Mondadori. Ed è stata dura riaprire il cassetto della memoria, ma mi ha dato anche grande soddisfazione. 20 anni di tribolazioni, con una mancata diagnosi di mezzo: era difficile condividere tanto dolore, per me, ma in fondo è stato anche terapeutico. Il libro è stato poi ristampato tra le 7 e 8 volte.
Venendo ora allo spettacolo che ne è derivato, di sicuro può essere tosto: si tratta pur sempre di stare da sola sul palco per circa un’ora e mezza. Da sola, sì, ma con qualche lieta sorpresa, nel senso che cari amici come ad esempio Lorella Cuccarini sono venuti talvolta a farmi visita in scena, nelle vesti di “guest star” La cosa mi ha fatto davvero piacere. Al pari del veder scoprire, da parte di un pubblico sempre molto partecipe, che Più forte del destino non è affatto uno spettacolo impegnativo, pesante, ma che si fa invece apprezzare per il suo essere dissacrante, cinico, lontano dalla retorica.
Ecco, a tal proposito, vorremmo chiederti se non sia proprio lo humour una delle carte vincenti dello spettacolo.
Certamente. Aspetti ironici e autoironici ci sono anche nel libro, che resta comunque più descrittivo. Mentre, come accennavo prima, nello spettacolo ho voluto rendere tutto più leggero. La gente ride, divertita per l’ironia e per l’approccio che in scena rivelo ad argomenti simili; ed in questo anche la regia di Arturo Tullio, portata a valorizzare i momenti maggiormente comici, si è rivelata di grande aiuto. Così pubblico e critica sin dall’inizio si sono trovati pressoché uniti nell’apprezzare il nostro lavoro.
Tornando proprio agli inizi, se ora stai portando nuovamente in giro lo spettacolo, tra Lombardia e Campania, sappiamo già che nella precedente tournèe eri passata anche dalla capitale, più o meno in primavera. Come e dove era cominciata, quindi, questa lunga avventura?
A parte l’iniziale rodaggio avvenuto durante un festival teatrale ad Asti, nel luglio 2013, si può dire che la prima vera e propria ci sia stata due anni fa a Milano, dove ha poi riscosso particolare successo al Teatro Litta. In seguito abbiamo cominciato a girare l’Italia, compresa Roma, il che ci ha permesso non soltanto di ricevere ulteriori consensi, ma anche di aiutare concretamente, attraverso i nostri incassi, l’associazione con cui collaboro abitualmente e di cui sono testimonial da tempo, ovvero l’AISM: Associazione Italiana Sclerosi Multipla. Ovunque siamo andati l’accoglienza è stata molto bella. Perciò sono molto felice che con il nuovo tour toccheremo qualche nuova realtà che in precedenza era rimasta esclusa, mi riferisco ovviamente a Napoli e Salerno.
Allargando un po’ il discorso, sappiamo che per colpa della malattia hai dovuto mettere da parte la tua prima passione, il ballo, intraprendendo però un’intensa e fortunata carriera di attrice; dall’esordire interpretando un personaggio molto considerato dal pubblico, in Centovetrine, fino al collaborare con registi importanti come Pupi Avati, cosa puoi dirci del tuo percorso televisivo?
Potrei cominciare col dire che recitare per Pupi Avati in una miniserie televisiva ha arricchito enormemente non solo il mio curriculum, ma anche la mia persona: lui, in un mondo dello spettacolo dove per problemi fisici si viene spesso e volentieri discriminati, m’ha dato invece la parte dicendo di volere attori buoni, senza che il resto avesse importanza. Anch’io penso che per saper recitare non sia necessario sapere correre! Pupi Avati è un grande che ringrazio volentieri. Ma purtroppo l’Italia è un paese dove tanti non sanno guardare oltre la cartella clinica. E la meritocrazia, più in generale, è assente.
Per riallacciarmi un po’ a quanto ci stai ora dicendo, vorrei infine chiederti se ti piacerebbe mettere a frutto le valide esperienze avute in televisione e a teatro, provando a fare anche del cinema, magari più avanti. E in tal caso sempre come attrice o saresti interessata a tentare strade diverse, la regia per esempio?
Il cinema è da sempre uno dei miei sogni, benché non ne abbia mai fatto. Per i motivi che accennavo prima, non ho ancora trovato registi aperti e coraggiosi, come lo è stato invece Pupi Avati. C’è da dire inoltre che noi attori finiamo spesso nelle mani di agenzie che puntano solo su alcuni nomi, facendo per gli altri il minimo sindacale, parcheggiandoli cioè senza valorizzarne affatto le qualità. Da parte mia vorrei cominciare a muovermi da sola, per sondare un po’ l’ambiente cinematografico e vedere, per esempio, se può esserci spazio per un progetto che sogno di realizzare da tempo. Vorrei insomma proporre un film su determinate tematiche sociali. Ma sempre come attrice, perché è un ruolo in cui ritengo di cavarmela bene, mentre per la regia preferirei affidarmi a un professionista più navigato che sappia sviluppare la mia idea il meglio possibile.