Lady Holiday MISSISSIPPI DRUNK

Al Teatro Trastevere uno straripante omaggio a Billie Holiday, al coraggio delle donne, ed al lento fluire del Mississipi col suo carico di storie

Roma, Teatro Trastevere, 11 marzo 2018

L’Associazione Culturale Teatro Trastevere presenta:
Lady Holiday MISSISSIPPI DRUNK

Regia: Alessandra Caputo e Simone Fraschetti
Con: Valentina Conti.
Musiche di: Rodolfo V. Puccio
Una produzione: PATAS ARRIBA TEATRO

Foto dello spettacolo: Pamlanephoto

Date: 9-10 Marzo 2018 ore 21.
11 Marzo 2018 ore 17:30.

Intro: Holiday.
La Lady del jazz, la signora col fiore, la donna col sangue nero e l’umore blues, Billie Holiday
Parole e Musica.
Uno sfogo un racconto, un basso elettrico e ancora ricordi, tamburi, un passato difficile e un’eleganza ubriaca, dolorosa e fiera.
Con un abito elegante entra spavalda a fare la sua musica e il suo discorso, a cacciare brutti pensieri e le cicatrici, a ballare e reinventarsi.
Billie dei misteri, dei fiori bianchi tra i capelli neri, dell’ingresso riservato al colore sbagliato della pelle, della povertà e del successo, dei riti e dell’inquietudine, del sorriso allusivo e dell’incanto e alla fine solo un pensiero; nasci nero sole, domani!

«Southern trees bear a strange fruit
Blood on the leaves and blood at the root
Black body swinging in the Southern breeze
Strange fruit hanging from the poplar trees…»
(Billie Holiday, Strange Fruit)

Sono versi di una canzone che negli Stati Uniti fece scalpore, poiché si evocava un’immagine macabra ma tremendamente reale, il corpo di un nero ucciso dai bianchi e messo a penzolare da un albero. Frutto amarissimo di terreni intrisi d’odio, quelli di un continente americano in cui non sono stati poi in tanti a poter associare tra loro le parole “americano” e “sogno”. Perché per molti altri l’America ha rappresentato invece un incubo. A partire magari da quei neri, le cui generazioni precedenti avevano conosciuto l’orrore della schiavitù e che, nei primi decenni del ventesimo secolo, dovevano comunque confrontarsi con una condizione brutale, fatta di sfruttamento, segregazione razziale, minori diritti e una vasta gamma di vessazioni quotidiane. Tant’è che pure Billie Holiday, artista di fama che un tempo aveva fatto la fame, colei insomma che attraverso questi versi aveva saputo trasmettere un così profondo dolore, nei locali dove si esibiva doveva spesso usare l’ingresso riservato ai neri e restarsene in camerino fino all’entrata in scena. A lei, “Lady Lay” come volle chiamarla l’amico e collega Lester Young, Alessandra Caputo ha voluto dedicare Lady Holiday Mississipi Drunk, testo assai intenso da mettere in scena e simbioticamente legato alla dolente ballata scritta invece dal sodale Adriano Marenco.

Al posto del sangue ho il fango del Mississipi, non scorre, mi apre nel Delta, come il carbone prima che diventa diamante, come un grugnito, come un’armonica, io ti canto, ma per non piangere.
Alessandra Caputo

Di tanto cantare
mi è rimasta in gola
la spina di un fiore
ficcata là dove
il Mississipi diventa mare
Adriano Marenco

Ecco, piccoli estratti del loro accorato lavoro. A suggerire anche la presenza costante del grande fiume. Sì, il Mississipi, sulle cui acque pare che riecheggino ancora i vivaci racconti di Sam Clemens a.k.a. Marx Twain, genitore su carta di Tom Sawyer e Huckleberry Finn, ma che qui pare trascinarsi stancamente verso la foce col suo carico di illusioni, drammi e sofferenze, il cui peso è lo stesso avvertito nei non lontani campi di cotone.
Queste contraddittorie e convulse sinestesie di viaggio le abbiamo sentite pulsare di vita al Teatro Trastevere durante WOMEN IN MUSIC, la bella settimana teatrale dedicata a due grandi figure femminili della musica del Novecento, Billie Holiday ed Edith Piaf, arricchita peraltro dalla suggestiva mostra #ARTISTFASHIONERD AL FOYER. Purtroppo a LA PETITE ROBE NOIRE, lo spettacolo dedicato a un’icona del calibro di Edith Piaf ed andato in scena soltanto per due serate, l’8 e il 9 marzo, non abbiamo fatto in tempo ad assistere. Ma nei giorni successivi era in cartellone Lady Holiday Mississipi Drunk. E piombando là una domenica pomeriggio ci siamo in qualche modo rifatti…

Sulle qualità poetiche del testo ci si è in parte già espressi: notevolissima l’empatia, sia nei confronti di un vissuto così tormentato, sia verso il non meno problematico contesto sociale fatto vibrare dalla voce calda e avvolgente di Billie Holiday. Sono però le accortezze della messa in scena a creare la magia necessaria. Valentina Conti calamita su di sé l’attenzione della platea, sin dalla sua prima apparizione sul palco. È lei la nostra Lady Lay. Con tanto di fiore bianco tra i capelli, così come lo portava la cantante, che verrà poi donato a uno spettatore. A farle compagnia in scena, anzi, a duettare sornione con lei sia attraverso lo sguardo che con il proprio strumento, è un musicista di talento: Rodolfo V. Puccio. Dal suo basso elettrico partono con tempismo perfetto note solidali, struggenti sottolineature dello sferzante monologo affidato all’attrice, visibilmente appassionata al testo, tanto da restituirne in modo fluido le diverse sfumature: vere e proprie carezze verbali si alternano vorticosamente ad atroci, crude stilettate. La biografia stessa di Billie Holiday è un calderone cui attingere per creare vertiginosi contrasti. Basta degnare il palco di un colpo d’occhio più generale e ci si rende conto all’istante dell’ottima combinazione di elementi: la scenografia ha un gusto piacevolmente, sommessamente rétro; di Rodolfo V. Puccio si fanno apprezzare anche le espressioni da mimo; e i suoi giri di basso fendono l’aria fin quasi ad incorniciare il volto di Valentina Conti, quel volto da attrice del muto, accentuandone così il magnetismo di fondo al pari del curatissimo disegno luci. Non sbaglia, quindi, la regia di Alessandra Caputo e Simone Fraschetti, ad affidare gli sbalzi d’umore della protagonista al differente calore delle luci indirizzate su di lei. E con invidiabile coerenza sarà la luce più fioca delle candele rimaste accese in un angoletto del palco l’ultimo barlume, grazie al quale ci si potrà infine congedare, con un filo di malinconia, dalla tumultuosa parabola esistenziale della nostra eroina…

Alcune delle opere di Giovanni Palmieri esposte in teatro (foto Marcella Cistola)

Congedarsi dal teatro sarà invece operazione più lenta, graduale del solito. Difatti all’uscita l’occhio è tornato volentieri sulle opere esposte nel foyer. Prima ancora di parlarne con l’artista, Giovanni Palmieri, la sua pittura ci ha subito suggerito un fluire di emozioni per certi versi simile a quanto si era percepito poco prima, durante la rappresentazione. Quasi come se quei dipinti, concepiti per altro con tempistiche differenti, si fossero fusi nella nostra immaginazione con le forti contrapposizioni appena andate in scena. Ne è nato in modo assolutamente spontaneo un fitto scambio di idee che ha coinvolto anche l’altro animatore della corrente culturale Kirolandia, lo scrittore Andrea Alessio Cavarretta, che aveva collaborato ad organizzare la mostra; nonché con lo stesso Palmieri, rivelatosi spirito acuto e sensibile. Tra le opere da lui esposte Tiche, che vede evocata la dea della fortuna in modo essenziale, su fondo blu; come pure Byarka e Tyr, rappresentazioni complementari e solo apparentemente antitetiche dell’animo femminile in forma di Runa. Sarà anche per l’assetto lieve dato a quest’incontro di antichi retaggi culturali che la sua arte ci ha istintivamente sedotto; e che ci è stato poi possibile specchiarci con maggior fiducia nella conturbante superficie di Reflectitur Verum, capace a suo modo di sintetizzare le contrastanti emozioni offerte da questo originale intreccio di teatro e arti figurative.

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