MASSIMO FINI SI RACCONTA

Nel libro "Una vita" i ricordi, le passioni e gli incontri dell'intellettuale più irriverente della cultura italiana

una vitaQuando Massimo Fini apre bocca, generalmente lo fa per schioccare una sonora frustata. E uno dei massimi estimatori della sua frusta (letteraria, s’intende) fu Indro Montanelli che nella prefazione a Il Conformista scriveva che quel gusto per la provocazione derivava dalle “mani pulite” dell’autore. Uno stralcio di quella prefazione si trova oggi sulla quarta di copertina di Una vita. Un libro per tutti. O per nessuno, autobiografia che Massimo Fini dà alla stampa con Marsilio Editori. Il libro esce in due edizioni. La prima, del febbraio 2015, contiene un aneddoto sull’attore-produttore Luca Barbareschi che farà impazzire la rete e tutti gli amanti del gossip più sfrenato.

Si narra di un Barbareschi vittima di un’autodistruzione “che per lui passava per il sesso, la ‘partouze’, i travestiti”. Il racconto delle rocambolesche avventure sessuali di Barbareschi, che per Fini sono solo uno stimolo per parlare di altre debolezze, le sue, scavalcano il libro in una miriade di chiacchiericci. Così la biografia viene ritirata ed editata il mese successivo, con una postilla: “ho deciso di togliere le due pagine che riguardavano l’attore Luca Barbareschi”, scrive Fini in apertura. Per due motivi: la prima editoriale, per evitare che “i media specializzati nel gossip” trasformassero la biografia in un “libro di pettegolezzi e non un’opera che ha ben altre ambizioni”. La seconda, personale, è per chiedere scusa ad “una persona che frequentavo da circa trent’anni” e di cui l’autore non voleva ferire la sensibilità. Eppure di aneddoti, per così dire, peccaminosi, l’opera ne è piena. Ma siccome non riguardano il jet set allora non attecchiscono come primi, questa pare essere la spiegazione.

Sia come sia, tutti gli avvenimenti narrati nel libro vengono da un unico punto di vista, quello di un intellettuale atipico, bollato di fascismo, misoginia, anti-occidentalismo, a seconda dei periodi. Fini lo strambo. Se tutti dicono “a”, quello deve dire “b”, per forza. Così nel corso della sua carriera, passata per l’Avanti!, Europeo, Linus e soprattutto L’Indipendente (esperienza che gli rimarrà nel cuore giacché godeva di una certa libertà), si è tirato addosso le ire di molti. Il libro contiene interessanti ritratti “impressionisti”, come li definisce lo stesso autore, di molti grandi della politica, della cultura, del giornalismo. La sintonia umana con Umberto Bossi, gli incontri con Berlusconi, le bizze di Sandro Pertini. La bellezza di Catherine Spaak e Rudy Nurejev, i colleghi Vittorio Feltri e Ferruccio De Bortoli, il fantastico trio Biagi-Montanelli-Bocca, che ebbe la fortuna di conoscere da vicino e con cui collaborò (soprattutto con Bocca).

finiI fatti sono raccontati come un flusso di coscienza, andando per ricordi, o associazioni. Ogni esperienza passa attraverso gli occhi malinconici di Massimo Fini, che sono il vero collante di tutto il libro. Il glaucoma che li affligge, e che oggi lo ha condannato alla cecità, è la lente da cui osservare ogni cosa. Non c’è ironia nel racconto, a meno che questa non sia data dai personaggi che lo popolano. L’attitudine dell’autore è introspettiva e tinta di spleen, caratteristica che lui stesso ammette di avere. Trasudano le passioni, come quella per il calcio e per i guerrieri-eroi, di qualunque fattispecie. La recente notizia della morte del Mullah Omar, il guerriero talebano a cui Fini ha dedicato una biografia, ha prodotto un necrologio che doveva essere pubblicato sul Corriere e di cui Fini ne denuncia la censura.

Un intellettuale che vale sempre la pena leggere, anche quando non si è d’accordo. E che consegna, per la sua magistrale capacità di modellare la scrittura, un libro per tutti. O per nessuno.

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