Monet alla Fondazione Beyeler di Basilea

Monet_Beyeler

Per celebrare il ventesimo anniversario dalla nascita, la Fondazione Beyeler di Basilea ha deciso di allestire una mostra di uno degli artisti più importanti e amati da Ernst Beyeler (il suo fondatore), ovvero: Claude Monet.

La mostra conta di 62 opere, alcune provenienti dai principali musei del mondo (come il Metropolitan Museum of Modern Art di New York, il Museum of Fine Art di Boston, la Tate di Londra, il Musée d’Orsay di Parigi) altre da dipinti di proprietà come il meraviglioso «Bassin aux Nympheas», tre pannelli di due metri per tre ognuno raffiguranti lo stagno di Giverny, paese dove l’artista visse negli ultimi anni. La mostra è una festa di luci e colori che illustrano il percorso artistico del grande pittore francese, capostipite dell’impressionismo. Grandiosi paesaggi mediterranei,  immagini che provengono da un selvaggio litorale atlantico, diversi tratti della Senna, prati con fiori di campo, pagliai, ninfee, cattedrali e ponti avvolti nella nebbia. Tutto questo è Monet.

La mostra racconta il Monet dei dipinti realizzati dopo il 1880. Le opere sono scandite secondo diverse aree tematiche: la Senna, gli alberi, il Mediterraneo, Londra, Giverny. Dopo la morte nel 1879 della moglie Camille, Monet iniziò infatti una serie di viaggi che lo portarono in diversi luoghi sul Mediterraneo e poi a Londra, città amata dall’artista francese. Un periodo intenso, riflessivo, che coincide anche con i primi soggiorni a Giverny dal 1883. In questo periodo vi è una ripetizione quasi ossessiva dei soggetti pittorici, tendenti a una sorta di astrattismo cromatico. Dipinti con uno stesso soggetto realizzati da angolazioni differenti e in diversi momenti della giornata che rappresentano il suo amore per la natura, ma soprattutto la sua concezione della vita in continuo movimento. La luce plasma il tutto: una luce vibrante, intensa, dinamica. Frantuma il colore attraverso le pennellate poste una accanto all’altra senza sfumature. Un metodo rivoluzionario che ha nell’immediatezza il suo carattere distintivo.

In mostra troviamo nella prima sala «La cathédrale de Rouen» del 1894 dipinta al mattino con le luci bluastre rischiarate dal giallo del Sole nascente e «La meule au soleil» del 1891, controluce con la sua ombra allungata che copre metà della tela. Poi la serie degli alberi, alti, spogli, luminosi od oscuri. La Senna ghiacciata dai riflessi oro o argentei e la impressionante «Vagues à la Manneporte» del 1885 con il suo arco rampante realizzato con pennellate rapide e vigorose, fra il giallo della parte illuminata e il blu del mare spumeggiante in basso. Segue la serie «Waterloo Bridge» in una dissolvenza di colori tra il rosa, il grigio e il blu che mette a repentaglio la stessa percezione visiva.

La sala successiva celebra gli alberi di Monet: un velato omaggio a Ernst Beyeler, che già nel 1998 aveva dedicato a questo tema un’intera rassegna. Alberi in condizione di luce diverse, le loro forme e le ombre proiettate sono ricorrenti in Monet ed evidenziano l’influsso delle xilografie giapponesi a colori. Spesso gli alberi conferiscono alle sue composizioni una struttura geometrica, osservabile in particolare nelle serie pittoriche realizzate dall’artista.

Alla fine del percorso troviamo le ninfee, il soggetto preferito degli ultimi anni. Lo stesso Monet raccontava: «Ho impiegato del tempo prima di capire le mie ninfee, le avevo piantate per piacere e le coltivavo senza pensare di dipingerle. Poi, d’improvviso, ebbi la rivelazione della magia del mio stagno. Presi la tavolozza e da allora in poi non ebbi altri modelli». L’opera tarda di Monet è caratterizzata quasi esclusivamente dalle descrizioni artistiche del giardino del pittore e dei rispecchiamenti nei suoi stagni di ninfee. Nella collezione Beyeler se ne trovano mirabili esempi. La mostra si conclude nell’incanto dei dipinti che ritraggono il giardino di Monet a Giverny.

Bella la mostra, capolavori assoluti, ottima l’illuminazione. Unica pecca i cataloghi, solo in tedesco e in inglese. Ma i curatori della mostra, in un museo così importante e in una città cosmopolita come Basilea (sede di importanti aziende) avrebbero dovuto pensare anche ad altre lingue, almeno francese (Basilea è al confine con la Francia) e italiano (la Svizzera è pur sempre uno stato federale in cui l’italiano è lingua ufficiale).

Due parole anche sulla Fondazione in sé e sulla sua sede. La Fondazione è opera del collezionista Ernst Beyeler (nato a Basilea nel 1921 e morto, nella stessa città, nel 2010), figlio di un impiegato delle Ferrovie che, una volta ereditata la gestione di una libreria antiquaria, iniziò pian piano a trasformarla in galleria d’arte. Presso di essa si potevano acquistare quadri di espressionisti tedeschi o di maestri francesi dell’incisione così come di artisti locali, magari poco conosciuti ma sempre in grado di distinguersi per originalità e doti espressive. All’attività di gallerista, Beyeler affiancò quella di collezionista. La sua galleria divenne una delle più prestigiose del mondo e con il passare degli anni anche la sua collezione personale si fece importante, tanto da rendere necessaria la costruzione di una sede specificamente concepita allo scopo: 250 opere dipinte e scolpite i cui autori, per fare alcuni esempi, rispondono ai nomi di Van Gogh, Lichtenstein, Bacon, Monet, Braque, Picasso, Mondrian, Giacometti, Seurat, Klee, Rodin, Matisse, Calder, Degas, Chagall e altri.

La scelta di Beyeler cadde sull’architetto italiano Renzo Piano. Come racconta lo stesso Piano, tra i due si stabilì una profonda intesa che diede al progetto un taglio fresco e innovativo. Un edificio non appariscente ma pensato nei minimi particolari. Nella struttura si respira il rapporto diretto con le opere d’arte, collocate nell’edificio come se facessero parte dell’edificio stesso. Un tutt’uno inebriante e coinvolgente.

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