Il nero non sfina

Accolto con entusiasmo anche al Teatro Nuovo di Velletri, l'esilarante e attualissimo spettacolo di Sara Ceracchi

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Intro: lo spettacolo “Il nero non sfina – monologhi incivili di borghesi contemporanei esauriti” è andato in scena domenica 24 marzo alle ore 18:30, presso quel Teatro Nuovo (ex Tognazzi) di Velletri che, dopo un lungo periodo di inattività, sotto la nuova gestione vanta finalmente un cartellone ricco e variegato, potendo ospitare fino a 467 spettatori.
“Il nero non sfina” è composto da dieci monologhi scelti dall’omonima raccolta di Sara Ceracchi, anche regista dello spettacolo: sul palco si avvicendano cinque mattatori di razza (Riccardo Frezza, Samuel Di Clemente, Clea Scala, Alessio Romanazzi, Matteo Santinelli), che si destreggiano nell’interpretazione di testi squisitamente umoristici, incentrati sulle nevrosi che sottendono le esistenze della classe media occidentale. Ogni performance è intervallata da brani musicali che anticipano le tematiche dei brani, o ironizzano su di esse, e da simpatiche interazioni tra l’attore impegnato nel monologo, e gli altri alle sue spalle.

Dalla galleria del Teatro Nuovo di Velletri abbiamo potuto osservare dall’alto, stile dolly cinematografico, uno spettacolo che ha un po’ il sapore della conferma e un po’ quello della rivelazione. Conferma, poiché autrice della pièce Il nero non sfina – monologhi incivili di borghesi contemporanei esauriti è Sara Ceracchi, di cui avevamo apprezzato la verve sia come regista che quale interprete principale proprio grazie al cinema: suo il cortometraggio Come fossi una bambola, proiettato in concorso all’Indiecinema Film Festival qualche settimana fa. E non a caso abbiamo ritrovato in scena certi spigliati, bravissimi interpreti già apparsi nel corto, Riccardo Frezza e Samuel Di Clemente. Rivelazione, invece, perché l’estrosa formula adottata per legare tra loro i diversi monologhi che compongono il testo non soltanto dimostra un notevole appeal, per il pubblico, ma fa emergere in modo scanzonato e originale quelle tare della contemporaneità che necessitavano a nostro avviso di una simile vocazione umoristica, per andare incontro alla possibile, agognata catarsi.


La semplicità della messa in scena è il viatico di una comicità che passando da un protagonista all’altro, da una bocca all’altra, crea innanzitutto un senso di prossimità, di complicità, di condivisione comunitaria presso gli spettatori. Con l’ineffabile Riccardo Frezza a fare per primo da anfitrione, interagendo con la classica lavagna posta alle sue spalle, ciascuno degli interpreti viene così presentato assieme alla piccola ossessione che lo contraddistingue. I “tic” della società odierna incarnati da personaggi che suscitano ora immedesimazione e ora distacco critico. I singoli attori, dopoessersi espressi, andranno a sedersi uno alla volta sulle sedie situate dietro al “mattatore” di turno, commentando con una smorfia o con qualche altra uscita ludica, giocosa, ciò che egli sta raccontando. Quasi un riflesso della comunità chiamata di continuo in casa, quasi un piccolo “coro” che, senza ricalcare necessariamente quello dell’antico teatro greco, un pochino finisce comunque per assomigliargli, per raccoglierne da una prospettiva magari goliardica la funzione.


Esposti con toni sempre esilaranti (e vissuti con grande partecipazione sia in platea che in galleria), sono molteplici gli aspetti del presente che la Ceracchi, attenta osservatrice della realtà come lo sono in genere i grandi umoristi, si diverte a mettere in piazza: dal culto delle diete e della forma fisica (che dà anche il nome allo spettacolo) al proliferare delle più singolari feste patronali lungo la penisola, dal sempre più complicato rapporto tra i sessi a quella piaga apparentemente inarrestabile del “politically correct” e della cultura “woke” in genere che qui ha prodotto momenti, lo confessiamo candidamente, in cui oltre a ridere in modo tanto liberatorio dell’idiozia dilagante ci è venuta la tentazione di alzarci in piedi e applaudire a scena aperta!
Tutto ciò, occorre però rimarcarlo, non funzionerebbe alla stessa maniera senza la piccola factory che Sara Ceracchi ha raccolto attorno a sé. Oltre a quello dei più volte citati Riccardo Frezza e Samuel Di Clemente, si fa senz’altro apprezzare il saper stare in scena, il piglio così naturale, spiritoso e genuino dei vari Alessio Romanazzi, Matteo Santinelli e Clea Scala. La grinta e lo humour di quest’ultima, unica ma oltremodo significativa presenza femminile, da soli valgono il prezzo del biglietto.

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