REGIA: Juliano Ribeiro Salgado, Wim Wenders
GENERE: Documentario
TITOLO ORIGINALE: The salt of the earth
DISTRIBUZIONE: Officine UBU
PAESE: Brasile, Francia, 2014
DURATA: 109 Min
TRAMA: Per oltre 40 anni, il fotografo brasiliano Sebastião Salgado ha viaggiato e attraversato i continenti alla ricerca di una umanità e di una società in continuo cambiamento. Con il suo obbiettivo, ha testimoniato e documentato i grandi eventi della nostra storia recente: guerre, lotte di classe, carestie, migrazioni. Oggi, questo documentario, firmato da Wim Wenders e dal figlio del fotografo, Juliano Ribeiro Salgado, è invece un omaggio alla bellezza del pianeta.
Sebastião Salgado, durante il suo percorso professionale e artistico, ha mostrato soprattutto il volto umano del dolore e la disuguaglianza all’interno della società. Grande fotografo sociale, il brasiliano Salgado ha avuto il suo “riconoscimento” niente di meno che da Wim Wenders, regista ma fotografo anch’esso, coadiuvato dal figlio del primo, Juliano Ribeiro. I due raccontano in maniera straordinaria e poetica la sua opera, dagli inizi dell’America Latina fino agli orrori del Ruanda e oltre.
La sua vita è rivelata dal punto di vista del figlio Juliano, che, nell’ultimo periodo, lo accompagnava durante i suoi viaggi. Merito di Wenders, è quello di usare il genere del documentario cinematografico per raccontare qualcosa di estremamente poetico e toccante. Già adottato con successo per Buena Vista Social Club (1998), dedicato ai musicisti cubani rimasti a lungo tagliati fuori dal mondo a causa del boicottaggio contro la loro patria e, poi, per Pina (2011), documentario straordinario che racconta il mondo della danza contemporanea, Wenders ribadisce come il documentario possa rappresentare quel terreno adeguato per rinnovare, dal punto di vista tecnico e contenutistico, il cinema contemporaneo.
Al centro di ogni opera di Wenders, tuttavia, c’è l’uomo con i suoi obiettivi e i suoi limiti, al centro di uno sforzo che tende a una continua lotta per raggiungere i traguardi che si è prefissato o, anche, a non farsi travolgere dalle avversità della vita. Un aspetto, quest’ultimo, che non viene meno neppure nel più recente “Il sale della terra”, presentato lo scorso anno al Festival di Cannes e vincitore del primo premio della sezione «Un certain Regard».
Al centro del film, stavolta, non troviamo un gruppo di persone focalizzato attorno a un obiettivo comune (i musicisti di Cuba o la troupe dei danzatori di Pina Bausch) ma un uomo solo: Sebastiao Salgado, fotografo brasiliano capace di raggiungere una enorme popolarità a livello mondiale grazie alle mostre ed ai libri che ha prodotto.
Wenders porta lo spettatore a emozionarsi delle stesse emozioni avvertite dal regista, quando ad esempio inquadra le splendide immagini in bianco e nero scattate da Salgado. Il film è quindi il film di un ammiratore, dichiarato, ed è quindi inevitabile una certa dimensione agiografica, percepibile quando si sceglie, accuratamente, di non toccare tematiche che potrebbero disturbare il protagonista.
Al di là di questo, il grande merito del film è permettere di godersi sul grande schermo una selezione delle più significative immagini del fotografo e di ricostruire, in maniera organica e precisa, le principali tappe di un percorso che lo hanno portato a denunciare le ingiustizie che abbondano in gran parte delle nazioni del mondo.
Ma la poetica del film raggiunge le vette più alte quando con il suo occhio, il fotografo (e di conseguenza il regista) evidenzia le diversità che sopravvivono nei luoghi più nascosti e lontani dalla nostra società.
Una denuncia che vuole essere ed è di stampo ecologista, anche grazie alle attività della fondazione creata dallo stesso Salgado che si occupa di ripristinare una parte della foresta atlantica del Brasile e che ha portato, nel 1998, alla nascita di una riserva naturale e allo sviluppo dell’istituto “Terra”.