Quattro parole per descrivere Carlo Bolacchi: cantautore sardo “naturalizzato” emiliano. Uso il termine naturalizzato con molta cautela, perché tutti sappiamo quanto sia impossibile per i sardi naturalizzarsi del tutto al continente. Sono quasi del tutto sicura che nel mondo la bandiera dei quattro mori sia più famosa del tricolore. Tricolore che peraltro ha le sue radici a Reggio Emilia dove Bolacchi si trasferì all’età di dieci anni. Fuor di metafora, è questa doppia bandiera a rendere il progetto Carlo Bolacchi originale, fatto di un’italianità complessa e più profonda di quanto non possa sembrare a un primo ascolto. Allo stesso tempo, egli è la voce di una generazione che in pochi hanno cantato perché troppo giovane, o meglio, “giovine ma vecchia”. Carlo Bolacchi, classe 87, canta quella generazione che si avvicina ai trenta e ancora non sa bene cosa sarà di lei. Che ha voglia di fare, ma non trova lavoro. Una generazione disillusa, che ride dell’oroscopo e dei luoghi comuni, ma poi un po’ ci crede. Ha una penna brillante Bolacchi, ironica. E poi, diciamolo francamente, in un mondo dove anche la musica indipendente sta diventando troppo patinata, Carlo Bolacchi suona ancora sincero, autentico. Autentico significa ciò che ha autore certo, e talvolta le parole sono particolarmente eloquenti. È lui l’autore certo, la voce autentica di quella generazione, perché Bolacchi è “cantautore di notte e dipendente di giorno”. Ricordo il momento in cui notai la sua autenticità. Casualmente mi trovavo in studio mentre Bolacchi lavorava al suo primo singolo “Verità Libera”, casualmente erano le tre di notte e casualmente Bolacchi notò che era meglio chiudere e rimandare il lavoro alla notte successiva perché “domani mi sveglio alle cinque”. Un autentico cantautore-operaio. Per questo sa criticare e al tempo stesso ridere dell’attualità, perché la vive in prima persona senza rifugiarsi dietro un facilissimo vittimismo – cosa che ultimamente tra gli artisti finto-intellettuali troppo spesso accade. Touché.
Ho avuto la fortuna di conoscere Carlo Bolacchi diversi anni fa, e di seguire da vicino la nascita e lo sviluppo del suo primo disco da solista. Per questo motivo ho l’opportunità di riportare direttamente le sue parole. Giusto una breve intervista che ci promettiamo di ampliare in futuro. Il 2016 è stato un anno importante per Bolacchi, impegnato nei live, nella stesura e produzione del primo disco da solista, nell’avventura di Area Sanremo e nella collaborazione con Paolo Fox.
Quanto lavorare in officina ha ostacolato o aiutato il tuo percorso artistico?
Carlo Bolacchi non è solo un cantautore ma è prima di tutto un operaio metalmeccanico. Sicuramente intraprendere un percorso che tenesse in piedi le due cose ha aspetti negativi e positivi. Gli aspetti negativi sono legati esclusivamente alla mancanza di tempo, perché la giornata è composta da 24 ore e per riuscire a tenere in piedi un progetto musicale – con tutte le attività annesse e connesse – occorre sfruttare al meglio il proprio tempo libero. Il lato positivo è che lavorare educa a tenere i piedi per terra, a vivere la musica in modo sano e costruttivo, come una passione e al contempo un lavoro.
Inoltre, ho la fortuna di lavorare in un’azienda che mi ha sempre sostenuto. Le persone per cui e con cui lavoro hanno sempre avuto una sensibilità tale da capire che il mio non era solo un hobby ma qualche cosa di più. Per questo è nata la canzone “Professione Italiano”, per affermare che “io sono fortunato, perché mi piace credere che non sia così facile avere voglia di arrivare, di sentirsi anche un po’ male, avere un prato su cui crescere”. Quel prato sono la mia famiglia, il mio lavoro, le persone che mi stanno sostenendo e che mi stanno facendo crescere.
Raccontaci di Area Sanremo.
Il 2016 è stato un bell’anno dal punto di vista artistico e non solo. È iniziato con la produzione e registrazione del disco e si è concluso con la bellissima avventura di Area Sanremo, che mi ha permesso di crescere da un punto di vista sia umano che artistico. È stata un’occasione per incontrare altre realtà musicali emergenti, altri artisti, e questa è stata sicuramente la parte migliore. Certo, l’obiettivo era quello di arrivare a Sanremo. Per quest’anno non siamo riusciti, ma abbiamo gettato le basi per un percorso futuro e speriamo che la strada appena cominciata sia lunga. Il pezzo che ho portato a Sanremo si intitola Paolo Fox. Ho scritto questo pezzo per un motivo molto semplice, e che fa anche un po’ sorridere: in pausa pranzo lavorativa guardavo I fatti vostri con mio padre e l’oroscopo di Paolo Fox. Paolo è un personaggio che mi è sempre stato simpatico perché, come dico nella canzone, regala speranza. Ed ora che – dopo l’esperienza sanremese – l’ho conosciuto posso dire di averci preso: Paolo Fox è una persona pacata, positiva e regala davvero speranza!
Credi all’Oroscopo?
Ci credo come ci crede la maggioranza degli italiani: è un passatempo, è un qualcosa di simpatico.
Quali sono i tuoi artisti di riferimento?
Sicuramente i cantautori romani nati negli anni ’90. Mi riferisco particolarmente alla triade Niccolò Fabi, Daniele Silvestri, Max Gazzè. Principalmente mi ispiro a Daniele Silvestri che ritengo essere una delle penne migliori del panorama italiano, assolutamente geniale. Credo (e spero) nel disco si noti l’influenza di quei cantautori che stimo e che ho ascoltato per anni. Apprezzo molto anche Fabrizio Moro. Ad ogni modo, mi piacciono i cantautori che riescono a trasmettere tanto dal punto di vista di scrittura ma anche dal punto di vista interpretativo e di espressività, e credo che i cantautori citati abbiano più di altri queste caratteristiche.
Il primo disco da solista di Carlo Bolacchi uscirà per Mescal con il titolo “Nel paese dei Bolacchi”. La produzione è stata curata da Marco Montanari ed è stato registrato presso l’Help Studio di Casalgrande, grazie al supporto di Walvoil, Gigfound e Samer Gaber, amico di vecchia data.
Noi, dalla nostra, gli auguriamo di fare tantissima strada. (O perlomeno io. Si è mica capito che sono fan?)