Non è una piscina in giardino

Al Piccolo Teatro San Pio è andata in scena una surreale commedia, capace di divertire il pubblico, facendo al contempo riflettere sulla brutta piega presa dalla società odierna.

Piccolo Teatro San Pio di Roma, 25 febbraio 2018

Scritto da: Antonio Amoruso
Con: Gaetano Ingala, Alessandra Lanzara, Chiara Tron, Alessandro Lupi, Mauro Tron
Adattamento e Regia di: Chiara Tron
Musiche originali: Antonio Amoruso
Trucco e acconciature: Flavia Strazzanti
Scatti dal palco, dei video maker Lorenzo Lattanzi e Dario Ciulla
Date: Dal 24 febbraio alle 21:00 al 25 febbraio alle 18:00

Intro: Un manager, da poco in pensione, si ritrova per la prima volta a vivere la quotidianità del rapporto familiare con sua moglie e sua figlia. Comprende subito che l’inserimento a tempo pieno nel ménage non è gradito alle donne ma non sospetta fino a che punto. A pochi giorni dal Natale, però, riceve una visita inaspettata. Da quel momento realizza tutta la verità e davanti a lui si apre il baratro…

Il trenino per Ostia nei miei pensieri all’incontrario va, almeno rispetto al meteo. Già, non è stato affatto semplice, in giornate di pioggia e di freddo intenso, decidersi ad esplorare coi mezzi certe aree estremamente remote della capitale. Quale senz’altro è per il sottoscritto il nuovo quartiere Giardino di Roma, in zona Casal Bernocchi. Ma alla fine ne è valsa la pena. Innanzitutto per il piacere di scoprire una nuova e promettente realtà, il Piccolo Teatro San Pio: una bella struttura, spaziosa, accogliente, che si è presto riempita di un pubblico caloroso, euforico e partecipe. A completare l’opera, ovviamente, l’opera. In questo caso una commedia dai risvolti insoliti, che sembra partire un po’ in sordina, coi protagonisti che all’inizio quasi faticano a far decollare una cornice di noia e piccole insofferenze domestiche, per poi proporre una escalation travolgente.

Lode quindi all’autore, Antonio Amoruso, che tramite Non è una piscina in giardino si è divertito ad architettare un surreale detour tra problematiche decisamente attuali, affrontate però ponendo sempre il gusto del paradosso al centro della rappresentazione. Del resto viviamo un’era assai sciagurata, che qui in Italia ha assunto anche i contorni delle “rottamazioni” politiche minacciate da Renzi e degli “esodati” della Fornero. Il linguaggio a volte dice tutto. Ed ecco allora che il protagonista di questo salace apologo teatrale, l’attempato padre di famiglia impersonato da un efficace Gaetano Ingala, vorrebbe sì trascorrere tranquillamente gli anni della pensione a casa, ma si trova a fronteggiare il folle proposito della moglie e della figlia, che vorrebbero per l’appunto “rottamarlo”, esiliandolo in Svizzera grazie a una “permuta” davvero singolare. Difatti la cinica azienda elvetica incaricata del caso si accollerebbe il negletto padre/marito fornendo in sostituzione un sofisticato robot, ritenuto più gestibile e malleabile del vecchio famigliare brontolone per le faccende domestiche!
Specchio deformante che allude evidentemente alla brutta piega presa dalla società dei consumi e all’inaridirsi degli affetti famigliari, la situazione proposta potrebbe persino far tornare in mente, ai più cinefili, quel vecchio film con Alberto Sordi, Io e Caterina. Sono tendenze della società contemporanea formatesi già da qualche tempo, a ben vedere. Ad ogni modo Amoruso si è dimostrato originale ed arguto nel concepire gli sviluppi di questa commedia dai toni amarognoli, arricchita poi dagli stranianti siparietti filosofici di Mauro Tron fuori dal palco; un testo decisamente brillante, perciò, che attraverso scambi di battute demenziali e quasi da teatro dell’assurdo si colora anche di un’ironia stralunata, inconsueta, il cui timbro ci ha ricordato un po’ quello tipico dell’umorismo anglosassone. Pur con gli alti e bassi del caso, riscontrabili nel corso della rappresentazione, all’altezza della situazione ci è parso anche il cast, in mezzo al quale abbiamo scorto almeno un’eccellenza meritevole di essere segnalata: ossia la camaleontica prova di Alessandro Lupi, capace di giocare con accenti fortemente stereotipati, piccoli tic e strabuzzamenti d’occhi senza però oltrepassare la misura, gigioneggiando quel tanto che gli ha permesso, invece, di rimarcare con le sue apparizioni in scena la surrealtà del contesto.

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