SACRO GRA

IL PRIMO “DOCUMENTARIO” A VINCERE IL LEONE D'ORO A VENEZIA.

REGIA:  Gianfranco Rosi
GENERE: Documentario
SCENEGGIATURA: Gianfranco Rosi
SOGGETTO: Niccolò Bassetti
MONTAGGIO: Jacopo Quadri
FOTOGRAFIA: Gianfranco Rosi
DISTRIBUZIONE: Officine UBU
PAESE: Italia, 2013
DURATA: 93 Min

TRAMA:  Il GRA, il Grande Raccordo Anulare di Roma, con i suoi 68 km è la più estesa autostrada urbana d’Italia. Intorno alle auto e ai camion che vi sfrecciano sull’asfalto vivono la loro vita persone appartenenti a un’umanità varia: un esperto botanico che vive come una missione la sopravvivenza delle palme; un pescatore d’anguille sul Tevere, un nobile piemontese decaduto che vive con la figlia in un appartamento in periferia;  un paramedico che lavora su un’ambulanza; prostitute non più giovanissime; un nobile che vive in un palazzo affittato come set per fotoromanzi; cubiste da bar; più tante altre persone. L’idea di raccontare il GRA è del paesaggista Nicolò Bassetti che, a piedi, è partito alla scoperta di questo luogo “sacro”, ne ha esplorato i territori sconosciuti, e lo ha arricchito grazie agli incontri con questi personaggi. Il bagaglio di esperienze costruito lo ha passato poi nelle mani del documentarista Gianfranco Rosi, con l’idea di trasformarlo in un racconto del reale.

Dopo la celebrazione della Roma storica e monumentale con “La Grande Bellezza”, il “Sacro GRA” può rappresentare l’emblema periferico della “caput mundi”. I romani percorrono più facilmente le corsie del Grande Raccordo Anulare rispetto alle strade di via del Corso. Eppure Roma è presente, grazie al Cupolone che è possibile intravedere anche da un palazzaccio appena fuori il Grande Raccordo Anulare. Ma le due anime opposte restano distinte: da un lato la Roma borghese e ministeriale, attraversata da turisti e intrisa di lusso, dall’altra la città che vive secondo i ritmi di un traffico caotico, di costruzioni abusive che divorano la terra, di vite appese a un filo.

Rosi parte da un luogo per descrivere la vita dei personaggi (così come nelle precedenti regie dell’autore, specie ne “El sicario”), riuscendo a cogliere mirabilmente gli elementi che lo ispirano. I personaggi che ne vengono fuori posseggono tutti una forza “cinematografica”, grazie alla “stra-ordinarietà” delle loro storie, dei loro modi d’essere, veri e paradossali allo stesso tempo come in un teatro dell’assurdo.

Il film ha vinto il Leone d’Oro all’ultimo Festival del Cinema di Venezia, segnando un primato storico, ovvero la prima volta del genere “documentario”. Ma a ben guardare la distinzione di genere è inutile se si pensa che qualsiasi cinepresa “documenta” delle scene, di finzione o di realtà senza nessuna differenza. I personaggi “reali” catturati da Rosi sanno di essere sotto l’occhio della macchina da presa, a volte “recitano” loro stessi, ma il fine ultimo, ovvero quello di raccontare “storie di vita” è raggiunto.

Tra i personaggi di Sacro GRA ricordiamo il barelliere dell’ambulanza del 118, che trascorre le notti a soccorrere vittime di incidenti stradali e poi la mattina trova il tempo di accudire l’anziana mamma. Filippo, un ex-principe che vive in un grande palazzo in zona Boccea che affitta per convegni, come bed and breakfast e come ambientazione per fotoromanzi. Paolo invece è un ex-nobile torinese che abita ora assieme alla figlia laureanda Amelia in un monolocale, dentro una anonima palazzina popolare. Attorno a questo palazzo, le case sono disabitate e il senso di marginalità viene reso con ancora maggiore efficacia.

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