Storia di un incontro

Western hollywoodiano e cinema d’autore dalle origini al 2020, nel caleidoscopico saggio di Felice Di Benga

Felice Di Benga
Storia di un incontro
Western hollywoodiano e cinema europeo d’autore dalle origini al 2020

Mimesis Edizioni
Collana: Cinema
2021, 192 pp.

Intro: Il volume tratta il cinema di tutti i giorni, quello che ognuno segue con facilità e che nasce dal western, struttura filmica che inventa le soluzioni per il “cinema universale”. Infatti il western si propaga ovunque con le sue strutture: il duello, l’eroe, il gregario, il rapporto nel gruppo, il finale risolutivo e quello più impegnato. Parallelamente il “cinema europeo dell’eccezione”, quello autoriale, affascinante ma rivolto a pochi, si sviluppa per percorsi autonomi e non codificati. Quando il “cinema universale” ha trasformato i generi, contaminandoli e cambiandoli sino a farli scoppiare, è divenuto anch’esso parte dell’autorialità, permettendo che i due mondi si avvicinassero fino a mescolarsi. Ognuno ha dato all’altro, arricchendosi a vicenda. Questo libro è la storia di questo incontro: un percorso difficile e ricco di preziose innovazioni.

Una scommessa dalla posta alquanto significativa, quella del saggista Felice Di Benga, nel senso che far viaggiare la multiforme tradizione del cinema western e alcune delle parabole autoriali più personali, profonde del Novecento, come in un ideale montaggio alternato, sondandone (per dirla coi CCCP e con Giovanni Lindo Ferretti) “affinità e divergenze”, non rappresentava certo una passeggiata di salute. Soprattutto da un punto di vista metodologico. E per essere franchi non sono mancati durante la lettura quei momenti, in cui tale andamento rapsodico ci ha procurato qualche forma di spaesamento.

Tuttavia, ancora maggiore è stato alla fine il sentirsi coinvolti in una parafrasi della Storia del Cinema, la cui godibilità sta per gli appassionati proprio nella lettura non banale tanto di capolavori cinematografici che di film forse meno conosciuti, nei quali rintracciare assieme all’autore del libro non (soltanto) gli aspetti più epidermici, le convenzioni di genere ripetute ad oltranza, ma anche gli archetipi e le istanze narrative capaci di dar vita a un epos moderno, ad esplorazioni dell’immaginario dalle molteplici sfaccettature; Il fatto poi che Di Benga, studioso di lungo corso della macchina-cinema, nel suo Storia di un incontro – Western hollywoodiano e cinema europeo d’autore dalle origini al 2020 si avvalga senza pedanterie di un linguaggio tecnico assai preciso, fatto di analisi dettagliate di singole sequenze e di riferimenti continui a campi medi, campi lunghi, primissimi piani, differenti stacchi di montaggio, da un lato depone a favore della serietà dell’analisi e dall’altro contribuisce a far rivivere negli occhi degli spettatori spezzoni di pellicole molto amate e di altre assolutamente da riscoprire.

Il western la fa ovviamente da padrone, nelle sue varie declinazioni. Dall’epicità genuina delle prime opere di John Ford o dei suoi contemporanei all’affiorare di dubbi e sfiducia nell’animo dell’eroe, tipico del tardo western. Dall’artigianato tutt’altro che trascurabile e per certi versi rivelatore di un Boetticher alla crepuscolare ma vertiginosa rivoluzione estetica compiuta da Sam Peckinpah.
Talmente ricco e vario, insomma, il menu delle opere cinematografiche analizzate e dei registi chiamati in causa, da rendere impossibile soffermarsi qui su ciascuno di essi. Ciò che incuriosisce, invece, è il succedersi continuo di intuizioni che ha spinto l’autore da un lato ad analizzare scrupolosamente la grammatica e l’evoluzione stessa del western, dall’altro ad affiancarvi brevi e folgoranti divagazioni (solo apparenti, in quanto perfettamente giustificate a livello teorico), tese a sondare le differenti inclinazioni stilistiche e poetiche di un Fassbinder, di un Visconti o di uno Zurlini. Tutto questo non per marcare un confine invalicabile coi grandi nomi del cinema europeo, ma per vagliarne rispetto agli standard hollywoodiani le distanze concettuali e di ambito produttivo, per azzardare possibili punti di contatto, per arrivare infine a un affresco collettivo da cui emergono, anche nella loro inevitabile ramificazione, differenziazione, tutte o quasi le potenzialità della settima arte. Se volessimo annotare un piccolo appunto a tale analisi, questo sarebbe rivolto probabilmente al carattere un po’ lapidario e assiomatico delle critiche mosse agli episodi minori dello “spaghetti western”; un’avventura produttiva della quale noialtri non neghiamo certo il taglio fondamentalmente derivativo, fracassone, epidermico, ma che almeno nei casi più interessanti seppe approdare a qualche spunto narrativo niente affatto labile, in grado di spostare l’asse del discorso verso l’irrompere in quegli anni di una violenta contestazione, verso quel terzomondismo di fondo esplicitato forse di più in altri generi. Valutazioni leggermente difformi, queste, che però non hanno inficiato le tante curiosità e gli interrogativi di spessore, posti dal saggio in questione, propedeutico peraltro al legittimo desiderio del lettore di immergersi poi nuovamente nella visione di classici del western e capolavori del cinema d’autore europeo, da affrontare magari sotto una luce diversa. E con un’attenzione più alta alla singolarità – come pure alle possibili codificazioni – della rappresentazione scenica e delle principali scelte drammaturgiche poste in atto.

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