La mecca svizzera della fotografia si trova a Winterthur, cittadina di 150.000 mila abitanti a circa 20 Km da Zurigo. Qui, all’interno di una fabbrica ristrutturata in cui, fino a pochi anni fa, si producevano motori per treni e navi, un padiglione accoglie lavori di fotografi e di artisti contemporanei, oltre ad essere luogo adibito a mostre e raccolte permanenti dedicate all’arte fotografica contemporanea e classica.
Il Fotomuseum, fondato nel 1993 e dedicata alla fotografia come forma d’arte, ha una vocazione storico-culturale e sociologica: intere sale sono dedicate alla fotografia applicata all’industria, all’architettura, alla moda. Ci sono riprese industriali, fotografie di dighe, fotografie della polizia, fotografie del settore medico, tutte intese a raccontare lo sviluppo dell’uomo e della nostra società.
Il Fotomuseum Winterthur è anche un classico museo che espone i maestri del XIX e XX secolo, quali ad esempio Karl Blossfeldt, Bill Brandt o Dorothea Lange. Un padiglione accoglie lavori di fotografi e di artisti contemporanei, con mostre dedicate a Lewis Baltz, William Eggleston, Nan Goldin e molti altri.
Le fotografie riproducono la realtà, o le sue alternative. Il Fotomuseum di Winterthur mostra il mondo visto dall’obiettivo. Grazie alla collaborazione con Fotostiftung Schweiz (La Fondazione Svizzera per la Fotografia) il Fotomuseum rappresenta un centro di competenza per l’arte fotografica davvero unico nel suo genere.
Dalla fondazione del Fotomuseum, l’arricchimento della collezione di fotografia contemporanea è stata una pietra angolare delle attività del museo. Ad oggi, circa 4000 fotografie sono state acquistati, donate o cedute in prestito permanente. La collezione può essere consultata anche online e offre un’ulteriore opportunità di rendere sempre crescenti le partecipazioni e le visite al Fotomuseum, oggi facilmente accessibile ad un pubblico internazionale sempre più ampio.
Ogni anno qui si tiene il Forum per la Nuova Fotografia Europea, una straordinaria opportunità per quarantadue “artisti emergenti” di presentarsi al pubblico e ad un team di esperti. Nuovi mondi visivi vengono presentati e discussi pubblicamente.
In questi giorni, c’è una interessantissima mostra su Paul Strandt, uno dei massimi fotografi del XX secolo, forse la prima grande retrospettiva in Europa del lavoro del fotografo neworkese. La mostra rivela la molteplicità delle sua tecnica, gli sforzi per far riconoscere la fotografia come forma d’arte, il suo interesse per il film-making, tutto corredato dalla produzione dei suoi libri fotografici del dopoguerra. Strand si rivela come una figura complessa e contraddittoria: un esteta, testardo, un simpatizzante comunista motivato da un forte senso di scopo sociale.
Strand dimostra il suo interesse crescente in materia urbanistica, tra cui una serie di ritratti innovativi di persone catturare dall’obiettivo per le strade di New York. Il senso di modernità pervade lo spirito di Strand che, tra il 1932 e il 1934, si trova in Messico, per approfondier il suo impegno con la politica della sinistra. Profondamente colpito dalla crisi economica mondiale del 1930, Strand ha un crescente interesse per il cinema, come mezzo per incoraggiare il cambiamento sociale. Film come Redes (1936) e Native Land (1942) rivelano la portata dei suoi impegni politici. Dopo il 1945, Strand ha dedicato le sue energie principalmente alla produzione di libri fotografici, offrendogli l’opportunità di creare ritratti complessi che fissano le persone all’interno di un contesto, di un luogo. La mostra si concentra su tre delle sue più importanti produzioni, tra cui il suo ritratto del villaggio italiano di Luzzara, pubblicato come “Un Paese” nel 1955. Concentrandosi sulla vita della gente comune, Strand offre una commovente testimonianza sugli aspetti a volte drammatici ma fieri della vita quotidiana di provincia.