Lupercalia

Qualche impressione, coadiuvata da una breve intervista a Marco Rea, sull’affascinante mostra collettiva da noi ammirata a febbraio

Su EreticaMente, rivista che rappresenta senz’altro un faro per chiunque si occupi di pensiero tradizionale, Stefano Mayorca tra le altre cose scrive: “Esistono delle specifiche analogie tra la caverna e il grembo materno, non solo di ordine psicologico, ma fortemente iniziatico ed ermetico. Da questo punto di vista, come già accennato, nell’antro litico sono racchiuse le matrici del femmineo nel quale l’essere umano trova rifugio e protezione rientrando in maniera simbolica nel ventre materno. Nei riti di incubazione tale connotazione occulta era diffusa, ed era riconducibile alla rinascita che seguiva alla morte dell’iniziato. La caverna è da tempi immemori legata all’eros, in virtù della sua concezione che la vede incarnare l’utero materno o Utero Primordiale. […] Nell’antica Roma le grotte venivano dedicate al dio Fauno, divinità dei boschi e signore delle profezie. In tali santuari sotterranei si trovavano delle are cultuali e sacre. Chi intendeva ottenere una visione sopranaturale doveva trascorrere la notte al suo interno avvolto in una pelle di pecora, attendendo la comunicazione trascendente operata dal dio. Anche la festa dei Lupercalia officiata dai Luperci, sacerdoti addetti al rituale, si svolgeva internamente ad una grotta (sita alle pendici del Palatino). La caverna dunque, è la regione che travalica l’immaginario, dove si sostanzia l’unione tra le Forze cosmiche e quelle terrestri, simboleggiata dai sette pianeti che configurano i sette metalli racchiusi nelle viscere della Terra, come attestato dalla Tradizione alchimica.

Tale articolo, pubblicato nel dicembre 2018, si intitola significativamente Il grembo materno, simbolo di protezione e rigenerazione. E ne abbiamo voluto citare uno stralcio, decisamente ampio, proprio per introdurre le forti impressioni destate dalla nostra fulminea visita allo Spazio Urano (nome anch’esso evocativo), dove il 15 febbraio scorso aveva avuto luogo l’inaugurazione di Lupercalia, mostra collettiva a cura di Rossana Calbi.
Spazio Urano, a suo modo un’altra grotta, un ventre accogliente, in cui far venire alla luce le opere di tre artisti dall’approccio estetico senz’altro differente, ma di pari spessore specie se rapportato all’impegnativa ed atavica forza del tema proposto. A tal proposito ci appelliamo volentieri alle parole usate dalla curatrice, per presentare i lavori prescelti: Lo studio dell’antica festa pagana è sviluppato dai tre artisti con l’attenzione alla tradizione dimenticata, trasformandosi nella trattazione di temi contemporanei: la forza femminile, la sua capacità di evolversi senza abbandonare le sue vere prerogative, senza il diniego della sua essenza primordiale. La forza è la linea che guida la delicatezza delle opere di Zoe Lacchei che delineano una donna necessariamente volitiva che sa essere questo e tant’altro; le vernici le coprono il volto nella grande opera inedita di Marco Rea e sottolineano la trasformazione continua che l’essere umano sa e deve avere. La crescita finale è descritta da Angela Lazazzera, l’artista pugliese descrive la capacità di diventare altro, di donarsi fisicamente e mentalmente: perché l’essere evoluto sa crescere, sa modificarsi e sa evolversi.

Venendo alle impressioni personali, magari anche peregrine, avute passando in rassegna le opere esposte, di Zoe Lacchei ci ha colpito quel tratto ferino, curato nei dettagli ma al contempo aggressivo, cui non deve essere estranea la cultura del manga e del fumetto contemporaneo; davvero un bel contrasto con quella pronunciata densità materica, la cui impronta genera nel lavoro di Angela Lazazzera un tale impulso alla fertilità da contenere, nostra personalissima suggestione, rimembranze di remoti trascorsi protoindeuropei come pure della Venere di Willendorf e delle sue consorelle preistoriche. Di impatto altrettanto forte, nella sua stratificazione (sia concettuale che sul piano strettamente realizzativo), l’interpretazione di Marco Rea, ma in questo caso abbiamo avuto la fortuna e il piacere di confrontarci direttamente con l’artista. Ecco come ha risposto ad alcune domande che abbiamo voluto fargli dopo la mostra!

Parliamo subito di Lupercalia: come è nato il tuo coinvolgimento nella mostra collettiva curata da Rossana Calbi? E conoscevi già il lavoro portato avanti dalle altre due artiste coinvolte?

Marco Rea all’inaugurazione di Lupercalia

Sono 15 anni che faccio mostre e con Rossana Calbi, la curatrice, ci conosciamo ormai da molto, c’è una grande stima reciproca sia sotto il profilo artistico che sotto quello umano. Rossana conosce bene la mia arte e il mio modo di lavorare e io conosco bene lei, la sua professionalità, onestà e precisione.
Riguardo le altre artiste in mostra con me, conosco Zoe Lacchei da tanti anni e apprezzo tantissimo il suo lavoro, mentre con Angela Lazazzera abbiamo avuto il piacere di conoscerci in occasione di questa mostra.

Quest’altra domanda potrebbe apparire un po’ eccentrica, ma ti viene fatta da qualcuno particolarmente vicino, sotto svariati aspetti (compreso quello iniziatico), agli ambienti della Tradizione Romana: prima di partecipare come artista alla mostra in questione, avevi già manifestato interesse per la romanità, dal punto di vista storico, ritualistico ed estetico?

Sarò sincero, no. Anche se le antiche tradizioni in generale mi hanno sempre affascinato sia sotto il profilo antropologico che rituale.
Ho approfondito il tema solo in seguito alla proposta della mostra.

Nel commentare la figura femminile al centro dell’opera da te esposta, la curatrice Rossana Calbi sottolinea invece come si compia il passaggio “da animale che si lecca le ferite, pronta a ritirarsi incurvando la schiena a creatura coperta e in attesa, gli strati usati dall’artista romano sono il latte che accarezzava le fanciulle nella folle corsa, e lì su quel volto scende con lo stesso identico senso: la ricerca di una completezza nell’altro.” L’approccio al tema e la stessa tecnica utilizzata sembrerebbero quindi convergere, incanalarsi in una direzione ben precisa… cosa puoi dirci a riguardo? Ed è una forma artistica ricorrente, nel tuo percorso, quella con cui è stato concepito e realizzato questo lavoro?

Sì, esatto, mi sono concentrato in particolare proprio su quella folle corsa che conducevano i Luperci, giovani ragazzi ai quali venivano fatte indossare pelli di capre sacrificate per l’occasione e dalle quali venivano tagliate delle strisce da usare come fruste. I luperci correvano, colpendo con queste fruste sia la terra che chiunque incontrassero, in particolare le donne, che si offrivano a questi colpi per ottenere la fecondità. Nella mia opera mi sono concentrato esattamente sulla forza di questi colpi inferti con strisce di pelli e sul latte che schizzava ovunque.

Per finire, come ti sei relazionato, a partire dall’allestimento e dal vernissage, con la scelta di Spazio Urano quale location di tale mostra? È una realtà che t’ha lasciato sensazioni positive?

Lo spazio si trova al Pigneto, una delle zone di Roma che amo e che frequento di più e dove è sito anche il mio studio. Lo Spazio Urano ha una bella energia e all’interno si respira creatività, sia nella parte superiore che è un intimo spazio espositivo, sia nella parte dell’ampio seminterrato dove si tengono corsi di arte e pittura. Sicuramente un’impressione positiva!
Riguardo allestimento e al vernissage mi sono affidato ciecamente all’esperienza di Rossana Calbi.

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