Roma, Carrozzerie N.O.T, 5 aprile 2019
Tratto dall’omonimo romanzo a fumetti di Maicol&Mirco
Con: Meri Bracalente, Andrea Filipponi, Sergio Licatalosi, Fermando Micucci
Musiche: Lili Refrain
Scenografia: Frediano Brandetti
Consulenza poetica e filosofica: Rubina Giorgi
Grafica: Roberto Montani
Scrittura scenica e regia: Andrea Fazzini
Intro: Il Papà di Dio ha un diavolo per capello: suo figlio è irrecuperabile. Non ne combina mai una giusta. Non a caso suo figlio ha voluto creare il suo Universo senza prima studiare! E qual è il risultato? Questo Universo qua! Il nostro. Un Universo dove si soffre, ci si ammala e si muore. Un Universo dove si lavora e si suda. Un Universo tutto sbagliato. Non come quello del Papà di Dio. Un Universo meraviglioso. Dove non esiste morto, dolore né fame. Dove non si deve lavorare né faticare. Dove i soldi non esistono così come i poveri. Ma Dio non ha voluto ascoltarlo. Ed ecco qua con che razza di Universo ci ritroviamo! Riuscirà Dio a farsi accettare da suo Papà? E suo Papà riuscirà a comprendere e capire il nostro povero Dio?’. Dalle note di presentazione del libro Il papà di Dio.
Maicol&Mirco sono tra i più importanti autori del fumetto italiano, con cui il Teatro Rebis ha iniziato una collaborazione allestendo nel 2016 lo spettacolo ‘Scarabocchi’, la metamorfosi scenica delle loro vignette, caratterizzate dalla feroce comicità dei testi e dall’immediatezza folgorante del segno grafico. Lo spettacolo, finalista del Premio In-Box 2017, non si limita a riportarne in scena gli sketch, ma entra nei silenzi che dividono i personaggi, nell’intimità scabrosa che evocano, nell’azzeramento del discorso che disperatamente denunciano.
Nel 2016 eravamo rimasti piacevolmente sorpresi da come un collettivo marchigiano estremamente audace e creativo, il Teatro Rebis, avesse saputo rapportarsi in scena al differente linguaggio del fumetto. E non fumetti qualsiasi, bensì le laconiche e dissacranti vignette di Maicol&Mirco. Era nato così Scarabocchi. La collaborazione con Maicol&Mirco è poi andata avanti. Dopo aver fatto furore un anno fa a Pesaro e dintorni, Il papà di Dio è infine sbarcato nella capitale assieme al redivivo Scarabocchi, trovando in Carrozze N.O.T. uno spazio per molto versi osmotico e di sicuro incline a favorire un teatro di ricerca.
Irriverenza. Spleen. Causticità. Esistenzialismo in pillole. Umorismo graffiante. Parole gettate in platea come bombe a mano. E pause cariche di senso. Ciò che avevamo apprezzato di Scarabocchi lo abbiamo ritrovato anche nel nuovo spettacolo, ma in una forma che si è ulteriormente evoluta, quasi fosse – a ridosso naturalmente della matrice fumettistica – il naturale passaggio dalle novelle al romanzo. Ne Il papà di Dio vi è infatti un filo conduttore più stabile, rappresentato da quella grottesca, parodica cosmogonia che si diverte a rapportare la fragilità umana a una sorta di famiglia divina pasticciona, distaccata, a tratti persino inorridita dalla propria capacità di generare mondi, mondi nei quali la sofferenza rischia di diventare routine.
Chi ha letto testi come Il funesto demiurgo di Emil Cioran, capolavoro novecentesco ancora oggi in grado di atterrire, vi ritroverà ad esempio quello sguardo sulla creazione nichilista e disilluso, smussato comunque da una comicità folgorante che sul palco si fa beffe persino delle suddette tare esistenzialiste. Il mondo può essere crudele, va bene, ma la vena dissacrante di Maicol&Mirco (ben interpretata dagli attori di Teatro Rebis, anche qui strepitosi), può aiutarci almeno ad esorcizzarne l’assurdità, ad assorbirne gli effetti con la giusta dose di ironia.
Abbiamo cominciato così ad introdurre un elemento importante: il cast, nel quale rispetto al recente passato vi è stato un positivo innesto. Dio goffo e insicuro, Andrea Filipponi pone la sua diversità fisica e di linguaggio (da ogni sua parola sembra trapelare, in forma di cantilena, un genuino stupore) al servizio di una messa in scena che lo vede attorniato da altre figure in qualche modo caricaturali, siano essere il deluso e collerico Papà interpretato da Fernando Micucci o l’altra eccentrica figura divina impersonata da Sergio Licatalosi, ossia quello zio del creatore che qui si presenta quasi da hippie celeste, con l’inseparabile chitarra al seguito. E non poteva certo mancare, pronta a sprigionare quell’incredibile magnetismo che le abbiamo riconosciuto sin dalle prime apparizioni teatrali, Meri Bracalente, un Satana femmina il cui ruolo di amico immaginario del Dio impacciato e confuso, di cui sopra, genera memorabili scene da teatro dell’assurdo. A dimostrazione del fatto che il meccanismo ad orologeria su cui questa compagnia, forte tanto di pregnanti invenzioni scenografiche che di prossemiche ben studiate, riesce a focalizzare l’attenzione del pubblico, sortisce ogni volta l’effetto di una calamita grazie anche alla magnifica collaborazione vista sul palco.